Siamo spesso colpiti da un provincialismo di ritorno nel calcio. Non ci è bastato arrivare fino in fondo alle tre competizioni europee nella scorsa stagione. No. L’eliminazione dalla Champions delle nostre rappresentanti ripropone improvvisamente il tema sulla qualità del nostro calcio e del nostro campionato. Ci auto definiamo “scarsi” rispetto ai principali concorrenti in Europa. E poco interessa se nella Europa League e nella Conference League abbiamo ancora quattro squadre. Le consideriamo manifestazioni “minori”. Un atteggiamento davvero incomprensibile dettato anche dalla incapacità di comprendere le reali motivazioni di alcune eliminazioni. Non essendo affatto convinti di questa “fotografia” rilanciamo su un tema a noi caro: tatticamente, il nostro calcio è il migliore al mondo. E non lo dice solo il foltissimo gruppo di allenatori italiani all’estero, ma lo confermano anche i risultati che complessivamente vengono realizzati. Dobbiamo ancora sottolineare il valore di Ancelotti o quello di Spalletti o di Rossi o di Calzona? Per non parlare dell’apprezzamento che tutti riconoscono a De Zerbi, a Gasperini, a Italiano, a Palladino e soprattutto agli “stranieri” formatisi in Italia come Guardiola e Thiago Motta. Si tratta di capacità e di inventiva che non mancano mai ai nostri tecnici. In nessun altro Paese si discute così approfonditamente di tattica e solo qualche vecchio romantico ancora ritiene che la differenza la faccia solo e soltanto la qualità dei giocatori. Non è più così da un pezzo perché oggi, più di ieri, una squadra imbottita di campioni, ma senza gioco non va da nessuna parte se affronta una formazione ben organizzata e con chiare idee di gioco. Ci spiace riproporre per l’ennesima volta il nome di Allegri quale massimo esponente di questo pensiero debole. La Juventus di quest’anno, con la rosa più pagata del campionato, avrebbe potuto competere fino in fondo per lo scudetto con un altro allenatore in panchina. Nessuno potrà convincerci del contrario visto che la Juve è stata competitiva su questo fronte per venti giornate e poi ha subito un’involuzione spiegabile solo a causa di carenza di idee di gioco ulteriormente aggravata dall’assenza di impegni europei. Ma ci perdonerà Allegri se non intendiamo ancora soffermarci su di lui che vanta ottimi difensore nella comunicazione. Vogliamo, invece, spiegare perché Napoli, Lazio e Inter siano uscite dalla Champions. E qui si torna al tema del gioco. Il Napoli ha sciupato un capitale enorme di sapienza tattica, ereditata da Spalletti, a causa del suo presidente. Con Calzona si è finalmente riallacciato il filo del gioco, ma troppo tardi per porre rimedio agli squilibri di una stagione malandata e con troppi strappi. La Lazio, invece, ha trovato i suoi limiti nei limiti di un allenatore come Sarri che non ha avuto l’abilità di rinnovarsi. Una continua marcia indietro, quella del tecnico toscano, dinanzi a una modernità di gioco che lui, precursore, non saputo affrontare con gli opportuni cambiamenti fino a ritrovarsi uno spogliatoio contro. Peccato. Resta il gran gesto delle dimissioni, sempre da applaudire in un Paese in cui non si dimette nessuno. Infine l’Inter è arrivata all’incontro più scorbutico, quello in casa dell’Atletico, scarica nella testa e avvolta da troppi complimenti. Nel calcio esistono leggi non scritte che sovvertono sempre i pronostici. Più ritieni di essere invincibile, più fragorosa sarà la caduta. E l’uscita dalla Champions contro un avversario più debole ha fatto veramente male. Ma ci sarà ampiamente tempo di rifarsi pensando alla seconda stella.
Paolo De Paola
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