Un addio che al primo istante sorprende, ma di certo – considerando quanto successo – era prevedibile: Maurizio Sarri dice addio alla Lazio, il tecnico toscano ha infatti rassegnato le proprie dimissioni e lascia la panchina biancoceleste dopo un periodo complicato sotto ogni aspetto: zero risultati, un gioco che ormai non era più riconoscibile e una tensione con dirigenza e società che aveva provocato ormai una frattura insanabile. Ci sarebbe tanto da dire su una storia che ha avuto un’involuzione clamorosa, a tratti difficile da interpretare soprattutto per le basi che erano state messe.
Di chi sono le maggiori colpe? Non può mai esserci una singola strada a senso unico, sicuramente il mercato della scorsa estate ha influito sull’umore di Sarri che aveva chiesto calciatori funzionali al suo modulo e alla sua filosofia di gioco, calciatori in grado di poter rendere subito e far sì che la squadra potesse essere competitiva. Lotito, però, non ha assecondato le richieste del suo tecnico: un allenatore come Sarri bisogna sempre essere messo in condizione per rendere al meglio con gli strumenti che chiede, era già accaduto alla Juventus e i risultati – seppur in proporzione diversa – non avevano rispettato le aspettative.
Ora l’addio alla Lazio arriva nel peggior modo possibile: quattro sconfitte nelle ultime cinque partite, una pesante eliminazione dagli ottavi di Champions League, il quarto posto che ora è distante undici punti e la sensazione che la stagione sia già finita a marzo. Ma le dimissioni a stagione ancora in corso sono giuste? Anche qui le opinioni sono contrastanti. Da Aurelio De Laurentiis, che ha praticamente definito “perdente” il suo ex allenatore, il messaggio è abbastanza chiaro: il rapporto tra Sarri, società e squadra era però giunto ai minimi termini, e l’immagine dei calciatori che non si oppongono o cercano di fare una minima resistenza alla sua dimissioni (come accaduto a Cagliari con Claudio Ranieri) è la conferma definitiva di come il rapporto ormai era terminato per tutti.
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