La rivoluzione è partita, e la serie A sta cavalcando l’onda. La strada del gioco ispira la scelta degli allenatori che verranno. Milan, sì allo sviluppo no alle follie

Un messaggio chiaro ed inequivocabile emerge, e grazie al cielo, dal campo. Non è più possibile, non è più accettabile, non è più realistico non giocare a calcio.
Da questo assunto di base si dispiegano tutti i ragionamenti successivi, soprattutto quelli legati al futuro. Daniele De Rossi è la rappresentazione plastica di ciò che tutte le società di casa nostra, a maggior ragione quelle più importanti, dovrebbero seguire.
Il momento che dal punto di vista economico sta vivendo il nostro calcio non lascia la minima alternativa. Se negli anni precedenti eravamo abituati a pensare alle squadre di serie A come alla periferia del calcio continentale d’elite, i segnali che stanno emergendo nei tempi più recenti portano ad un ottimismo assolutamente motivato dalla svolta che è stata impressa e non solo dal punto di vista dei risultati.

La serie A propone una capolista che, vada come vada l’avventura in Champions League, è inequivocabilmente all’altezza potenziale di poter guardare occhi negli occhi anche ogni genere di contendente al trono. Sono i risultati a premiare questa ventata di novità, che a lato dei riscontri concreti si muove attraverso lo spirito del palleggio, del gioco, e dell’organizzazione tattica che Simone Inzaghi è stato in grado di conferire ad una creatura che ha plasmato in ogni suo aspetto. Ad oggi è complicato pensare a squadre con un minimo di ambizione che prendano parte alla nostra serie A che non siano guidate dal tentativo di giocare, dalla ricerca della valorizzazione del singolo attraverso il collettivo. Una ricetta per l’autosostentamento che innesca un circuito virtuoso che comprende l’aumento di tifosi (finalmente divertiti) sugli spalti, quello di risultati e di conseguenza quello del fatturato. Ovvero la pietra angolare su cui costruire ogni genere di ragionamento e valutazione.

La rivalutazione della rosa attraverso questo tipo di ragionamento è l’ispirazione di un fuoriclasse come Giovanni Sartori: uno che dovunque sia passato ha lasciato dietro alle proprie spalle la definizione di “miracolo”. E’ accaduto ai tempi del Chievo Verona, ai tempi dell’Atalanta e sta accadendo un’altra volta anche a Bologna. Forse perchè di miracoloso non c’è nulla, ma è tutto solo frutto della smisurata competenza di un Direttore di un’altra categoria.

E non è un caso, che proprio in relazione a questo discorso, il tecnico che ha scelto per costruire il Bologna che sta facendo stropicciare gli occhi a tutti e non solo nel nostro paese, sia realisticamente all’epilogo del suo splendido percorso al Dall’Ara per prendere la direzione di un top club. Quale? Con Alfredo Pedullà da un paio di mesi abbondanti abbiamo identificato la Juventus come traiettoria molto plausibile, e ragionando su chi la allena ora e sul tipo di filosofia di gioca che lo caratterizza, non è difficile capire nemmeno il perchè.
Il Milan merita una riflessione più approfondita. Che l’avventura di Pioli sia agli sgoccioli è di evidenza inequivocabile. Il fatto che la proprietà rossonera sia americana, e dunque per definizione appartenente a quello spirito di sviluppo in parallelo su tutti i campi fa il resto. I rossoneri seguiranno la via maestra, per sfruttare quell’onda di entusiasmo che risultati a parte caratterizza il momento del nostro calcio ed a maggior ragione viene condiviso da uno dei suoi club più blasonati. Ci saranno investimenti importanti, ma non oltre le potenzialità di ciò che i rossoneri si sono meritevolmente costruiti con un percorso di crescita virtuoso e che sarebbe folle buttare all’aria. Per questo motivo profili recentemente avvicinati a via Aldo Rossi come quello di Gyokeres non corrispondono né alle intenzioni né alle attuali possibilità del Milan attuale e nemmeno di quello che verrà.
A meno di stravolgimenti che vadano oltre alla logica economica attuale, e che richiamerebbero scenari societari che la proprietà attuale continua a smentire con fermezza. Il tempo (non tanto) dirà come stanno le cose davvero.

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