La Fiorentina di Vincenzo Italiano si sta rendendo protagonista anche in questa stagione di un’ottima annata. La formazione viola, attualmente settima in campionato a sette lunghezze di distanza dal quarto posto, è ancora in corsa in Coppa Italia ed in Conference League, competizioni nelle quali, l’anno scorso, ha raggiunto le rispettive finali, soccombendo al cospetto di Inter e West Ham. Il tecnico della squadra toscana, intervistato in esclusiva da Alfredo Pedullà al Viola Park, ha raccontato il suo percorso, soffermandosi sulle passate esperienze professionali sulle panchine di Arzignano Valchiampo, Trapani e Spezia, parlando anche delle ambizioni del club gigliato in questa seconda parte di stagione. Queste tutte le sue dichiarazioni nel dettaglio:
Siamo a qualche giorno dopo la grande prestazione contro la Lazio. Ma io voglio ricordare la gavetta di Vincenzo Italiano: ti viene da ricordare di più il Trapani, l’Arzignano o lo Spezia?
“Mi viene da ricordare tutto il percorso. Ho conosciuto tanta gente. Sono riuscito ad avere grandissimi rapporti con tutti. Sono tutti anni da ricordare, dove abbiamo ottenuto risultati importanti, alcuni storici, come la prima promozione con lo Spezia, la prima salvezza in Serie A dello Spezia, ma anche la promozione a Trapani, dove un gruppo straordinario e coeso, fatto di grandi uomini è riuscito a portare il Trapani in Serie B. E poi l’approdo a Firenze dove, in questi due anni e mezzo, abbiamo ottenuto grandissimi risultati. Poi chiaramente mi vengono in mente quelle due finali, dove per poco non siamo riusciti ad alzare un trofeo, però è un percorso troppo bello da ricordare”.
Volevo soffermarmi sull’Arzignano ed i problemi della Serie D, dove fai i play-off ed ottieni la tua prima vittoria da allenatore.
“Quell’anno iniziò con il presidente dell’Arzignano che mi chiese di portare la squadra per la prima volta nella storia ai play-off. Quei play-off li abbiamo vinti e c’era da fare richiesta per entrare nella graduatoria. l’obiettivo era quello però, aver vinto quei play-off è stata una grande soddisfazione”.
Nessuno ti ha mai regalato qualcosa. Sei un figlio della gavetta.
“Ogni anno c’è stato da rimboccarsi le maniche per portare le mie idee, per riuscire ad entrare in empatia con i ragazzi, anche perché con un salto di categoria, una squadra nuova, riuscire, in poco tempo, proporre quello che hai in mente non è facile. La gavetta posso dire di averla fatta”.
Com’è possibile vincere sempre al primo anno, o quasi?
“L’allenatore che vince ha a disposizione un materiale tecnico ed umano. Tutti questi traguardi sono stati raggiunti andando ben oltre le aspettative. A Trapani si pensava ad un campionato di ‘galleggiamento’. A La Spezia era in corso un ridimensionamento. Ci vuole grande condivisione ed empatia con i ragazzi, per riuscire ad introdurre quei concetti e principi che hai in testa. E poi, piano piano, esplode tutto, come è successo con lo Spezia. A Trapani siamo riusciti a fare un’impresa. Senza l’apporto dei calciatori, però, penso che nessun allenatore riesca ad ottenere risultati, perché il calcio è dei calciatori, sono loro che vanno in campo e riescono ad farti diventare un allenatore vincente”.
Di Italiano si diceva che che è un allenatore che vince un anno e poi se ne va. Perché?
“A Trapani potevo anche rimanere, ma quando ci fu la promozione c’è stato un cambio di proprietà e le strade si sono divise. Invece, a Spezia, abbiamo continuato un progetto nato in Serie B, ed in Serie A abbiamo fatto un’impresa incredibile: tutti erano al primo anno in A, in un campionato difficile ed abbiamo ottenuto una salvezza insperata. Nessuno dava quello Spezia salvo. In B l’obiettivo era migliorare il play-off dell’anno prima. Il direttore Angelozzi chiese questo a me ed ai ragazzi, ma poi esplode qualcosa di inaspettato strada facendo, che ti fa sperare di ottenere qualcosa di diverso ed è nato tutto così”.
Sette/otto anni fa dicevano che Italiano fosse il nuovo Zeman. Ti rivedi in questa etichetta?
“Penso sia impossibile riproporre le idee di un allenatore. Al massimo puoi rubacchiare qualche principio, ma riproporre in tutto e per tutto è impossibile. Quando hai una mentalità dove ti piace proporre e non subire l’avversario, Zeman per te è un maestro. Come si esprimeva all’epoca la sua squadra mi colpì e diciamo che qualche spunto l’abbiamo preso”.
Sembra quasi che stai a Firenze da cinque o sei anni.
“Perché si lavora bene. Perché in società c’è gente spettacolare, sono due anni e mezzo che otteniamo risultati spettacolari . Abbiamo raggiunto una qualificazione ad un coppa europea dopo tanto tempo, e le due finali disputate l’anno scorso. Quest’anno stiamo avendo una marcia, a livello di classifica, soddisfacente. Abbiamo vinto l’ultima partita, che ci mantiene attaccati alle prime posizioni, e siamo ancora in corsa in Coppa Italia e Conference League, dove vogliamo arrivare in fondo, perché l’anno scorso è stato un cammino fantastico e ci vogliamo riprovare”.
Se ti dicessero oggi “firmi per una coppa, ma arrivi sesto/ottavo in campionato”?
“No, non firmo. Forse perché l’obiettivo è quello di migliorare il piazzamento in campionato. Poi, se ci aggiungiamo un trofeo che resta in bacheca, non sarebbe male. Cercheremo di arrivare fino in fondo, perché l’esperienza dell’anno scorso è stata troppo bella. Chiaro che ci è rimato l’amaro in bocca, ma ci riproveremo”.
Le critiche ricevute dopo la finale di Conference League sono esagerate? Qualcuno ha detto che un allenatore più pragmatico dovrebbe pensare a portare quella partita ai supplementari e non a vincerla.
“Non lo so. In quella partita noi abbiamo avuto il match point con Mandragora, poi abbiamo preso un gol alla fine evitabilissimo, che non ci ha permesso di concludere una partita giocata alla pari contro il West Ham, che sta confermando quest’anno di essere una signora squadra in Premier. In quel gol lì dovevamo essere più attenti. Ogni tanto penso al match point che abbiamo avuto. E’ stato davvero un grande peccato”.
Siamo al Viola Park, un centro difficilmente eguagliabile. Un centro sportivo così porta punti in classifica?
“Porta senso di appartenenza ed attaccamento. Entrare e lavorare qui è un piacere enorme. Il presidente ha messo a disposizione una struttura strepitosa. E’ un qualcosa di fantastico. Stai a contatto con il settore giovanile e con la squadra femminile. Penso che questo porterà una grande crescita e, di conseguenza, punti. Tutto quello che può essere utile ad una squadra di calcio qui c’è”.
Tra cinque anni vedi ancora il 4-3-3 come modulo che attecchisce?
“Una volta ero attaccato alle idee perché ti portano soddisfazione. Ora mi sono accorto che in base ai giocatori che hai a disposizione, alle categorie ed all’avversario qualcosa devi modificare. Poi è chiaro che devi dare un principio ed un’organizzazione, ma qualcosa in mezzo al campo puoi cambiare”.
C’è un allenatore che ti piace che sta allenando in Serie C e che pensi che possa essere in prospettiva un allenatore emergente?
“Colpisce tanto quello che sta facendo il Mantova di Possanzini. Sta facendo vedere calcio vero. E’ lui che sta rubando un po’ la scena, perché il suo Mantova sta facendo grandi cose”.
Chiudete l’anno solare con una grande performance e tu dici “una classifica del genere è un sogno”. Che è successo all’inizio dell’anno nuovo? E che è successo contro la Lazio?
“In quella partita noi di motivazioni ne avevamo tantissime: ritornare a vincere, battere un avversario che in questi tre anni non siamo mai riusciti a battere. Questi due obiettivi ci hanno permesso di prepararla bene, con grande attenzione. La prestazione è stata di grande livello. Siamo riusciti a mettere in difficoltà una squadra in salute. E la soddisfazione è stata doppia. Nico Gonzalez e i rigori? Ha un modo di calciare che sembrava infallibile. Ha nel DNA l’essere un rigorista e l’essere freddo. Mi ha detto lui stesso che, quando ce ne sarà un altro lo ricalcerà”.
Il primo gol in Serie A lo hai segnato a Frey contro l’Inter, e questo ha portato all’abolizione dell’ammonizione “per esultanza”. Ce lo racconti?
“Era un Verona-Inter, posticipo di campionato: feci il mio primo gol in Serie A. Uscì dalla linea di fondo e c’era la regola che, se uscivi dal campo, venivi ammonito. Io ero già stato ammonito e venni espulso. Il giorno dopo si cominciò a discutere su quella regola e poi venne tolta, grazie a questo mio gol”.
L’Inter quest’anno è un rullo compressore. Può essere che la finale persa col City abbia dato una certa consapevolezza ai nerazzurri?
“L’Inter è forte in tutti i reparti: ha personalità, ha fisicità, ha tecnica. Si vede che è un gruppo unito. Sono da tre anni con lo stesso allenatore. In questo momento se li trovi tutti in giornata sono difficili da battere. Possono arrivare in fondo in Champions? Sono convinto che ci arriveranno, se continuano ad esprimersi a questi livelli penso possano arrivare fino in fondo”.
Dove pensi possa arrivare il calcio a livello tattico tra cinque o dieci anni?
“Il calcio si evolve, arriveranno calciatori completi, veloci, rapidi, tecnici. Cresceranno le conoscenze degli allenatori. Adesso tutti hanno delle strategie e vogliono proporre, creare. È difficile incontrare qualsiasi avversario. Ci sarà sempre un’evoluzione. Adesso si è introdotto il VAR, che, secondo me, aiuta. Forse dovrebbe solamente essere un po’ più veloce”.
Ti sei sposato giovane. Hai dei figli anche abbastanza grandi. Riesci a vivere Firenze?
“Firenze è una città straordinaria. Ci sono bellezze ovunque. Dopo due anni e mezzo conosco la città ed è davvero uno spettacolo. Chiaro che il primo obiettivo giornaliero è quello di non abbandonare quello che è il mio lavoro. Guardo tutto ciò che mi può dare spunti per migliorare. Le partite le riguardo sempre il giorno dopo, con calma, dove inizio a valutare errori, capire dove migliorare e dove correggere. È il lavoro dell’allenatore”.
Sei un martello sugli errori o li lasci scivolare?
“Dopo due anni e mezzo posso anche togliere un po’ di pressione, perché ci capiamo con uno sguardo. Abbiamo ridotto anche il numero di sedute video. Quando conosci i tuoi ragazzi e loro conoscono la tua idea puoi farlo”.
C’è un angolo di Firenze che consideri top?
“Quando arrivi a Ponte Vecchio, attraversarlo è veramente qualcosa che ti rilassa e ti alleggerisce le giornate, perché è davvero uno spettacolo”.
Ho letto in una tua intervista “adesso ho scoperto il vino”. Che vuol dire?
“Da calciatore ero maniacale, cercavo di fare tutto alla perfezione e di non sbagliare su nulla. Il vino poteva compromettermi le prestazioni. Invece, da quando ho smesso, qualche libertà me la sono concessa. Mi piace il vino bianco con le bollicine. La pesca d’altura? Giù in Sicilia, d’estate, è una tappa fissa ed è una passione che avevo da piccolino e che mi rilassa”.
C’è un errore che da calciatore o da allenatore non rifaresti?
“Ci penso spesso: non avere comunicato in maniera corretta il mio addio allo Spezia. Sono stati due anni fantastici ed avevo instaurato un buon rapporto con tutti. Quello è un errore che ancora adesso non mi perdono”.
Cosa farà Vincenzo Italiano tra cinque anni?
“Penso ancora l’allenatore”.
De Zerbi ti piace come tipo di calcio espresso?
“Roberto è un grandissimo allenatore: filosofia straordinaria, concetti ed idee strepitose. Sta facendo un grande lavoro, in Inghilterra. Io sto cominciando a migliorare con l’inglese, per avere un rapporto diretto con i ragazzi stranieri che arrivano. Poi in futuro si vedrà”.
Ci riprovo: tra un trofeo ed il settimo posto cosa sceglieresti?
“Qualcosa in bacheca non è disprezzato. Vedremo se riusciremo ad ottenerlo”.