ESCLUSIVA SI Andujar apre l’album dei ricordi: “Vi racconto il super Palermo, Napoli, Messi, Lautaro e Retegui”

L’addio al calcio di qualche settimana fa, la carriera divisa fra Argentina ed Italia, le differenti esperienze vissute a Palermo, Napoli e Catania, l’incrocio con personaggi leggendari del calcio, da Veron, suo ultimo presidente all’Estudiantes de La Plata, al “più grande di sempre”, Leo Messi, fino ai protagonisti della nostra Serie A come Lautaro e Retegui: questi alcuni dei temi toccati nell’intervista che Mariano Andujar ha rilasciato in esclusiva alla redazione di SPORTITALIA.  Con un augurio: quello di tornare nel Belpaese, in altre vesti dirigenziali.

Come stai a qualche mese dall’addio al calcio?

“Sto benissimo, direi meglio di prima. Ero pronto quando ho lasciato, non è stato un impulso così a caso. Ho lavorato anche con lo psicologo, sapevo di essere arrivato ad un punto in cui, pur se mi sentivo bene e pensavo di poter fare ancora uno o due anni a buon livello, pensavo: va bene così. Senza arrivare a non sentirmi più all’altezza”.

Cosa ti manca e cosa invece non ti manca affatto, del calcio?

“Non mi manca il calcio in sé. Magari gli allenamenti, le cose da spogliatoio, che fanno parte della quotidianità, quelle sì. È normale perché da un giorno all’altro sono venute a mancare. Ma sto attraversando davvero un bel momento nella mia vita”.

Allenatore o dirigente: come ti ci vedi in futuro?

“Ho cambiato idea in questi anni, mi vedo più nella direzione sportiva. Mi piace la gestione delle persone. Non escludo nulla, certo ho fatto dei corsi e mi manca quello di Coverciano, che farò più avanti. Qualunque cosa farò, alla fine sarà nella stessa maniera, con la grinta con la quale ho affrontato le cose nella mia carriera. Un lavoratore nel calcio, ma dall’altra parte della scrivania”.

Magari scoprendo qualche talento?

“Magari! Quando le cose vengono fatte nel modo giusto, poi arrivano da sé. Adesso sento di avere una grande voglia di fare e di scoprire”.

Perché hai scelto di fare il portiere?

“Mi piaceva. A 7-8 anni giocavo in un piccolo club di Buenos Aires, volevo fare il portiere, ma lì ero centrocampista. Dissi a mio papà che volevo andare via piuttosto: andammo all’Huracan dove me lo fecero fare. Ce lo avevo dentro”.

Mi racconti di quando hai ricevuto la chiamata dal Palermo e sei venuto in Europa?

“È stata una sorpresa. Avevo fatto bene per un paio d’anni, ma parlavamo di una squadra che stava facendo la Coppa Uefa. Facevano una scommessa, prendendomi come terzo portiere. Poi ho avuto anche spazio, ed era una grande emozione andare a giocare in stadi che vedevo alla TV. Ero giovane e mi trovai vicino a grandi giocatori”.

Grosso a fine stagione faceva gol in semifinale del Mondiale…

“Sì, ho avuto 4 compagni che di lì a poco sono diventati campioni del Mondo. Lui, Barone, Barzagli e Zaccardo. Poi c’era Corini che era un fenomeno, un leader ed un capitano eccezionale. C’erano i miei amici Mariano Gonzalez e Santana. Makinwa e Caracciolo davanti, quel fenomeno di Ciccio Brienza. Una squadra fortissima”.

Poi il primo arrivo a quella che sarebbe diventata a casa tua, l’Estudiantes.

“I tifosi mi vogliono bene ed io ne voglio a loro. Me lo dimostrano sui social, quando mi incrociano per strada o allo stadio. Andai lì perché c’era questa possibilità di continuare in Italia, ma in B. A quel punto ho preferito aspettare un’altra chiamata, che arrivò da Simeone. Stava costruendo una bella squadra, era appena tornato Veron. Alla fine abbiamo vinto il campionato, un derby per 7 a 0. Una squadra ai vertici per gli anni in cui sono rimasto lì. Per questi tre anni si è costruito questo legame”.

Hai spesso scelto la 21, a Napoli la 45. Come mai?

“La 21 è per il giorno di nascita di mia figlia. Mio figlio invece il 3, ma un portiere con la 3 non è bello da vedere (ride, n.d.r.). La 45 a Napoli la scelsi perché la 21 era occupata da Fernandez”.

A proposito del Napoli: è in mano a Calzona, che hai incrociato anche se brevemente.

“Sì, l’ho avuto nel corso di un ritiro, perché poi arrivò Pepe Reina, dunque decisi io di andare via. Sapevo che Pepe sarebbe tornato per giocare, era giusto così. Quello fu il mio ultimo ritorno all’ Estudiantes”.

Ti è dispiaciuto vedere come gli Azzurri siano calati rispetto alla fantastica annata scorsa?

“È un dispiacere per i suoi tifosi, Napoli è una piazza che sogna sempre di vincere, con un popolo dietro alla squadra. È quindi un peccato che non abbia avuto la continuità giusta. Penso però che ci sia un lavoro che sta facendo la società per puntare a migliorare da questo punto di vista, dopo lo Scudetto dello scorso anno. È normale un calo ora, non soltanto negli stimoli, ma anche per il fatto che gli avversari vogliono dare tutti di più contro di te, che sei il campione in carica. È dura ripetersi, ma auguro agli Azzurri di fare una buona Champions League, di risalire la china in campionato, che non sarà facile perché ci sono tante squadre competitive. La rosa però ha tanta qualità”.

Per voi ex giocatori della Selección è stato come se foste presenti, al Mondiale vinto in Qatar?

“Si, noi lo abbiamo sentito così forte e nostro perché ci abbiamo provato a vincerlo nel recente passato, andandoci vicini ed anche perché nella rosa in Qatar c’erano ancora amici come Otamendi e Leo. E tutta la gente dello staff, i magazzinieri: non si vedono, ma sono sempre stati vicini ai giocatori. È stata una vittoria incredibile che ci ha ripagato delle ferite. Vedere Messi alzare la coppa…”.

Ti ha fatto commuovere?

“Ho pianto sì, dopo aver visto lacrimare mia figlia. Hanno fatto contento un popolo, in un momento non facile per il Paese. Perché quando arrivi ad una finale poi la vuoi vincere”.

Ti riferisci a quella persa nel 2014, nella quale c’eri anche tu. Da fuori traspariva una grande tensione: quanta ne ha dovuta gestire Messi quella sera?

“Leo gestisce la pressione da quando è piccolo. Ricordo quando andammo in Bangladesh: per un allenamento c’erano 60mila persone. Non erano lì per vedere noi, ma per lui. È abituato, a volte ci riesce meglio, altre meno, in alcuni casi i compagni lo aiutano di più altre di meno. Ma è il migliore della storia”.

Lautaro è al livello dei migliori 9 argentini con cui hai giocato?

“Ci ho giocato contro quando era al Racing. Quando mi hanno chiesto di lui dopo la partita dissi ai giornalisti: questo può diventare uno dei migliori attaccanti della storia argentina. Ha ancora tanto tempo davanti a sé per fare parlare di lui. E qualcosa ha già vinto (ride, n.d.r.). Un Mondiale, lo scudetto, è sempre lì a lottare per vincere ed ha giocato una finale di Champions. Come lui ne trovi uno e poi devono passare tanti anni per rivederne di così forti”.

Retegui è fra i candidati a diventare il 9 titolare azzurro. Ci parli di lui?

“Con Mateo ho giocato qui all’ Estudiantes, lui era in prestito dal Boca, uno dei primi prestiti che ha vissuto. Si vedeva che era un ragazzo serio, un grande professionista che si allenava al 100% per migliorare. Era sempre lì ad ascoltare i consigli di noi più esperti. Lo vedevo che era uno… da Italia. Si vedeva subito, ricordo che lo avevo pensato. Credo che possa migliorare tantissimo e che già stia facendo cose bellissime al primo anno da voi, le merita e farà ancora meglio”.

Ti rivedremo qui? Magari a Catania, Palermo o Napoli…

“Magari, vediamo, devo prima lavorare e meritarmelo”.

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