Jannik Sinner sta scrivendo la storia del tennis italiano, ma c’era un periodo in cui le cose non andavano così bene: ecco perché non riusciva a vincere
Il percorso di Jannik Sinner è uno di quelli che si ricordano per decenni, quando si tagliano i traguardi più importanti della storia e poi, dopo il duro lavoro e punto dopo punto, si riesce a entrare nell’olimpo dei migliori.
È così che negli ultimi mesi il talento italiano ha fatto ciò che per anni hanno provato a fare molti atleti nei confini italiani, e cioè riportare nel nostro Paese la Coppa Davis e un Grande Slam. L’altoatesino non se l’è fatto ripetere due volte e ha centrato entrambi gli obiettivi, consacrando la sua esplosione anche agli Australian Open e facendo fuori in entrambe le occasioni Novak Djokovic, non il primo arrivato.
Ora si parla solo di lui, anche perché con tanti anni davanti in cui solcare le strade del successo i limiti non sembrano esserci ai suoi obiettivi, e tutti i suoi tifosi sperano di gioire ancora molte volte grazie a lui. Chi conosce molto bene Jannik è Giacomo Dambrosi, un tennista che prometteva tanto ed è stato compagno di doppio proprio di Sinner, prima di doversi frenare a causa di un fastidioso infortunio. Proprio da lui, è arrivata un’interessante rivelazione sull’attuale numero 4 al mondo.
Sinner raccontato da Dambrosi: “Impattava la palla come nessun altro, ma non vinceva tanto”
Sinner ha condiviso con Dambrosi un lungo percorso, da amici e talvolta da avversari, anche in molti trofei under. Il tennista, ai microfoni di ‘Fanpage’, ha potuto raccontare anche un retroscena sul collega: “Sin da piccolino, a 12 anni, durante allenamenti e partite impattava la palla come nessun altro – ha subito precisato -. Nessuno, anche i più grandi. Aveva una semplicità di gioco e di movimento che spaccava la palla. Faceva andare il braccio veloce e faceva cose che gli altri ragazzi non erano in grado di fare“.
Ma c’era un problema: “A 12-14 anni non vinceva tanto perché aveva questa rilassatezza nel colpire e spesso tirava fuori, ma bastava poco per crescere”. E poi è cresciuto piuttosto bene, visti i risultati, anche dal punto di vista mentale. Ora è proprio la mentalità uno dei punti forti dell’altoatesino, che non cala mai a livello di concentrazione e resta sempre in partita, anche nelle giornate storte. È successo anche in finale agli Australian Open ed è una delle qualità più care ai suoi fan, che non smetteranno di sostenerlo, fiduciosi che la sua scalata sia solo all’inizio.