Con il passare degli anni le sorprese in Coppa d'Africa sono via via crescenti: guai a dare per scontata una vittoria contro quelle Nazionali che magari sono meno blasonate per la storia, ma che negli ultimi anni sono cresciute in maniera esponenziale dal punto di vista dell'organizzazione e del gioco. Dopo i pareggi di Nigeria, Egitto ed Algeria rispettivamente contro Guinea Equatoriale, Mozambico ed Angola e la sconfitta del Ghana per mano del brillante Capo Verde, ieri è arrivato il tonfo della Tunisia che è caduta con la Namibia (0 a 1).
In esclusiva per SPORTITALIA è intervenuto l'allenatore Roberto Landi, che ha un rapporto di lunga data con il Continente africano. Prima da calciatore, nei Kaizer Chiefs in Sudafrica, poi da allenatore e formatore, avendo guidato la Nazionale della Liberia e diversi club in Libia, Egitto, Zambia, Zimbawe, Ghana. La sua ultima esperienza è terminata nel 2023 al Lusaka Youth Soccer Academy, ancora in Zambia.
Ci parla del suo rapporto con l'Africa?
"Prima di tutto va fatto un discorso emozionale. Sono stato a giocare in Sudafrica nel 1982 al Kaizer Chiefs, che è un po' la Juventus di quel Paese ed ero l'unico bianco di pelle in pieno periodo apartheid, tanto per rendere l'idea. L'Africa è appunto un continente che è strettamente collegato alle emozioni, anche quando ti ci trovi per lavoro".
Lei ci è stato sia da un lato che dall'altro. Che esperienze sono state?
"Sono state tutte esperienze positive quelle che ho avuto lì. Egitto, Libia, Liberia, Zambia, Zimbawe, Ghana: ognuna mi ha lasciato cose belle a modo suo. Per ultimo sono stato all'accademia di calciatori a Lusaka da dove abbiamo visto arrivare in Italia Banda del Lecce e Mannah Chiwisa dell'Atalanta. Emozioni e soddisfazioni. Diamo da mangiare a 100 bambini al giorno dagli 8 ai 17 anni sperando che qualcuno riesca a cambiare il proprio status e tutti quelli della sua famiglia e quartiere. Quando uno diventa professionista ne beneficiano un po' tutti quelli che sono intorno a lui".
Ha parlato delle emozioni. E dal punto di vista professionale, invece?
"Ci sono differenze abissali fra Nordafrica, che ha una risonanza europea, e l'Africa subsahariana, l'Africa nera".
Sotto quali aspetti?
"Due aspetti tecnico-tattici evidenti e scuole di pensiero. Si è vista bene in Egitto-Mozambico, che ho commentato su Sportitalia. La filosofia di calcio portoghese da un lato, quello del Mozambico, della quale fanno parte anche le varie Angola e Capo Verde. In questo momento ha fatto vedere le cose migliori da un punto di vista dell'organizzazione della squadra".
E dall'altro?
"Ci sono squadre anche molto più forti sulla carta, come Nigeria, Ghana, Camerun, Tunisia e lo stesso Egitto appunto: squadre che puntano sulle individualità. Squadre difficili da inquadrare in una precisa filosofia di gioco. Ed in queste realtà si assiste ad un fenomeno tipico dei giocatori che hanno successo in Europa magari".
Quale?
"Ognuno di loro arriva in Nazionale pensando che, in quanto top player, possa e debba vincere la partita ed essere decisivo. E' un pensiero positivo il loro: in questi Paesi si ferma l'intera Nazione quando giocano. Da qui deriva il forte senso di responsabilità che sentono, il peso di dover arrivare alla vittoria. E la delusione per la non vittoria: un dramma, in molti casi. Faccio due esempi".
Prego.
"I vari Osimhen e Salah sentono il peso della responsabilità, ma sono solo singoli calciatori, spesso non se ne rendono conto. Fino ad ora è stato questo il tema tattico: 11 individualità che possono perdere contro una squadra meglio organizzata. I top player pensano di essere i salvatori della Patria. ma si gioca in undici e loro sono solo una parte dell'insieme. Ho visto grandi giocatori in forte difficoltà: oggi non è più possibile pensare di non avere una precisa organizzazione. Guarda la Namibia per esempio".
Che ha vinto ieri con la Tunisia.
"La conosco bene: ho fatto un programma di sviluppo del calcio per la Fifa. Una Nazione dove la lega è ricominciata quest'anno dopo 3-4 stagioni di sospensione. Ed ha vinto contro una Tunisia che ha diversi giocatori in leghe importanti Europee. Però la partita è stata come quella dell'Egitto: l'organizzazione ha fatto la differenza sulle individualità. La vedo dura per i top team. Aggiungo una cosa".
Ovvero?
"Gli allenatori locali non è che siano sprovveduti. Oggi anche a loro sono accessibili i video, elaborano sempre più strategie e tattiche. Sono poche le squadre rimaste indietro".
Fra le tante, quale squadra ha apprezzato di più fino ad ora come sorpresa?
"Il Capo Verde come ho detto in diretta. L'ho incontrato due volte con la Liberia perdendo 3 a 1 a Capo Verde e vincendo 1 a 0 in casa. Mi ha impressionato l'organizzazione di gioco e l'abnegazione che ci mettono i giocatori: sono squadra. Hanno ottenuto una vittoria non facile, ma sicuramente arrivata in modo agevole contro il Ghana. E la prossima sfida fra lo stesso Ghana e l'Egitto è una partita da dentro o fuori. Con movimenti nei ritiri significativi, vedi i confronti fra tifosi la dirigenza. Uscire alla seconda partita sarebbe un fallimento epocale".
Osimhen e Salah dovranno sudare: sono loro comunque le star annunciate di questa edizione?
"Mah, io vengo da un calcio diverso: quando sono andato ai New York Cosmos ho conosciuto Pelé e Beckenbauer. Oggi faccio fatica a fare paragoni. Salah e Osimhen sono ottimi calciatori che però devono immedesimarsi di più nel progetto di squadra. Logico che nel Liverpool Momo si trovi in un'orchestra quasi perfetta creata da Klopp, dove lui fa la differenza, ma non da solo. Oggi non ci sono i Pelé, Platini e Zidane che da soli fanno tutto".
Il grande giocatore oggi è oscurato dall'organizzazione.
"Sì, il Salah visto per lunghi tratti contro il Mozambico era irriconoscibile: se non lo avessi conosciuto avrei pensato che sarebbe stato da cambiare. Se perde velocità e verticalizzazione poi può avere il colpo di genio, ma nei 90 minuti è stato inesistente. Ai miei tempi grandi giocatori arrivavano a 18 gol, oggi tanti toccano i 30: c'è qualcosa che non quadra. Bettega magari oggi allora ne farebbe 40 (ride, n.d.r.)? E' un calcio diverso. Per dire: 9 volte su 10 l'attaccante viene servito libero in area. Inzaghi arrivò a 300 gol sfruttando magistralmente la marcatura a zona e non a uomo".