Intervistato in TalentuoSi, lo spazio dedicato alla scoperta dei migliori settori giovanili in Italia ed Europa, il responsabile del Settore Giovanile dell’Atalanta Roberto Samaden, ha rilasciato le seguenti dichiarazioni a Giada Giacalone.
Non è semplice perché il ruolo ha avuto un'evoluzione, tra l'altro negli ultimi anni, molto veloce. Va declinata in base ai diversi livelli e dimensioni di un club. Credo che oggi la qualità principale che deve avere un responsabile del Settore Giovanile è la capacità di gestire e valorizzare delle persone e non solo essere orientato a ciò che succede in campo, ma soprattutto avere una visione che coinvolge tutto l'ambiente. Credo che quello che fa più la differenza è proprio questo, sapersi circondare di collaboratori, saperli valorizzare, darli fiducia, farli lavorare e poi riuscire a fare in modo che ognuno di loro riesca a trasferire ai ragazzi quella che poi è la visione della società e l'idea di calcio e di futuro che ha la società. Il fattore che determina principalmente il talento ma anche il percorso è l'ambiente, e qualsiasi talento ha la possibilità di crescere, se cresce nell'ambiente adatto a esaltarne le sue qualità. È chiaro che diverse fasce d'età determinano diverse possibilità di valutare i ragazzi e le ragazze, visto che ormai parliamo di calcio a 360 gradi. Però nei giovani è estremamente difficile: ci sono tante figure che magari si appropriano della scoperta di un giocatore perché ne hanno visto qualcosa. In realtà credo che quello sia un processo molto legato all'esperienza, molto legato al fatto che più persone possono individuare in un giocatore, in un ragazzo molto giovane soprattutto, qualche qualità particolare. Ma quello che fa la differenza è la capacità dell'ambiente di accogliere quel talento, non di limitarlo ma di esaltarne le proprie qualità.
Arriviamo al passato un bagaglio di trent'anni con i colori nerazzurri relativi all'Inter: che percorso è stato e che eredità pensa di aver lasciato a Milano?
Percorso speciale, non è comune entrare in un club e rimanerci per più di 30 anni. È qualcosa che mi porterò sempre dentro e che mi ha permesso poi di arrivare a ricoprire il ruolo che ricopro attualmente. Senza tutto quel percorso e quella bellissima esperienza che ho fatto partendo da allenatore poi via via arrivando al ruolo di responsabile, non avrei mai potuto sviluppare le mie capacità e quindi arrivare oggi al ruolo che ricopro nell'Atalanta. L'eredità? Io credo che soprattutto sia riuscito a lasciare un ambiente e un gruppo di persone capaci di lavorare insieme, anche in maniera piuttosto semplice. Poi se guardiamo all'obiettivo di ogni responsabile, viene facile rispondere che l'eredità può essere identificata in Dimarco, nei sette convocati dell'ultima nazionale Under 21 che rappresentano non tanto il presente ma anche il futuro e, comunque a prescindere, da un gruppo di persone che più di me ha determinato i successi che quel settore giovanile ha avuto in passato.
Ha qualche rimpianto?
Credo che in qualsiasi esperienza i rimpianti fanno parte della nostra vita. Chiaramente il maggior successo e la migliore gioia per chi si occupa di giovani è vederli esordire e giocare con la prima squadra. Questo è il sogno non solo dei ragazzi, ma di tutte le persone che girano intorno. Negli ultimi 7-8 anni c'è stato un numero di giocatori che hanno invaso i campi della Serie A e anche all'estero. È frustante vedere per un responsabile con la maglia avversaria di alto rango un ragazzo cresciuto nel proprio settore giovanile. Queste rientra nelle dinamiche del mercato e dalla necessità che hanno i club di produrre valore e di utilizzare quei valori economici per arrivare ad altri tipi di giocatori.
Il calcio italiano negli ultimi anni ha avuto dei momenti bui: le gestione del Settore Giovanile ha bisogno di essere rivisitata per lo sviluppo del calcio stesso?
Si, credo che nel calcio italiano, ma non solo perché la Nazionale ha avuto problemi nel qualificarsi ai Mondiali o in quelli precedenti, c'è un impoverimento della base. Noi siamo qui a preoccuparci del vertice, cioè di passare dal settore giovanile alla prima squadra piuttosto che di come alimentare il serbatoio delle Nazionali giovanili che peraltro negli ultimi anni sono cresciute tantissimo e hanno un progetto che funziona. Credo che se non si interviene nella base (anche nella scuola), è difficile che il vertice sia alto. C'è consapevolezza, bisogna passare dalle parole ai fatti.
Io credo che nella riforma che è stata implementata quest'anno e che andrà a regime l'anno prossimo, c'è un fattore intelligente che è stato l'introduzione di una lista che si avvicina a quelle che prevedono le competizioni europee, ossia l'obbligo per ogni squadra di mettere in distinta cinque giocatori formati nel club. Questo dà senso e spinge i club a investire nella formazione dei giocatori e anche 5 giocatori eleggibili per le Nazionali. Questi numeri andranno a crescere, mi sembra che arriveranno a regime a 10 e 10 e questa è stata una scelta intelligente perché obbligherà i club a dotarsi di un serbatoio anche partendo dalla pre-agonistica che permetterà di avere dei giocatori formati, al di là di allinearsi alle normative UEFA, visto che ne facciamo parte. Io sono un po' fortunato perché lavoro in una società che ha l'Under 23, che ha la seconda squadra e quindi per noi la Primavera non è l'ambito dove mettere dei ragazzi diciamo giovani ma non più giovani. Dall'anno prossimo che il campionato diventi Under 20, dal mio punto di vista, non è il massimo perché per quei ragazzi che giocheranno da Under 20 in quel campionato, sarà estremamente formativo per i nostri perché facendo giocare una Primavera molto giovane, il fatto di trovare avversari a cui diamo 10-15 anni di differenza nei primi undici. È chiaro che poi dall'altra parte bisogna guardare il rovescio della medaglia in quanto quei ragazzi che si è deciso di tenere dentro il sistema giovanile, se fuori non hanno modo di andare e trovar spazio, a questo punto il male minore è che stiano dentro il sistema giovanile. Però sicuramente non è qualcosa di estremamente funzionale alla loro crescita. Questo non lo dico io, ma tutti gli esempi che ci sono in giro per l'Europa. Sinceramente ho un po' invidiato tutte le volte che sono stato all'estero, vedere soprattutto quanto, e mi viene da fare il paragone con la società per la quale lavoro adesso, che da questo punto di vista è un esempio illuminato di come il Settore Giovanile venga considerato come un'area estremamente importante del club e che quindi il responsabile stesso venga considerato come uno dei dirigenti che contribuiscono in maniera importante alla gestione e alla sostenibilità del club. All'estero ho sempre un po' invidiato e mi ha sempre dato un po' fastidio vedere quanto soprattutto i colleghi che ricoprivano il ruolo di responsabile fossero considerati nel board della società: questo forse in Italia dobbiamo imparare sempre di più a farlo e far si che il Settore Giovanile non sia un accessorio che ogni tanto serve quando il club è in difficoltà per attingere delle risorse ma che sia un'area come d'altra parte è, di investimento, di creazione di valore.
I giovani son cambiati e questa è una dinamica della vita, io più che altro direi quanto siamo cambiati noi adulti nei confronti dei giovani perché spesso questa diventa una scusante. I giovani cambiano in meglio o in peggio in funzione di quello che noi li permettiamo di fare o che ambiente noi riusciamo a creare intorno a loro. Quindi, credo che bisogna avere una grande fiducia nei giovani e magari provare a modificare i nostri comportamenti e i nostri modi di pensare che spesso sono il vero limite che noi mettiamo ai giovani. Ormai all'ordine del giorno la nuova riforma sta creando un problema gigante perchè nel momento in cui i ragazzi saranno liberi di muoversi in qualsiasi fascia d'età, questo determinerà un aumento dell'importanza di queste figure e una possibilità per queste figure di muovere i giocatori a prescindere dalla reale necessità di muoverli, perché io sono convinto che se un agente sia convinto che un ragazzo debba andare via da un club per andare in un altro, perché questo è il suo bene, è giusto che faccia questa valutazione. La stessa valutazione la può fare un club, ma non che in nome di qualche altro interesse, i ragazzi vengano spostati e mossi non per il loro bene, ma per qualche altro tipo di bene. Sono abbastanza all'ordine del giorno queste situazioni.
Ho scelto di cambiare e di venire all'Atalanta perché prima di tutto penso di imparare tanto e di prendere tanto sfruttando l'opportunità di essere in un club che da sempre rappresenta il Settore Giovanile. L'Atalanta è il Settore Giovanile per tradizione, storia, passato, presente e futuro. Sono arrivato qui con grande umiltà ma con grande consapevolezza anche di essere stato scelto per poter disegnare il futuro dell'Atalanta. Credo di poter portare quella che è stata la mia esperienza ma soprattutto d'accordo con la proprietà, fattore determinante della scelta, con la quale c'è stata subito quella sintonia della necessità di continuare ad avere un ambiente che permetta ai ragazzi di crescere nel migliore dei modi e di poter arrivare velocemente, grazie al progetto dell'Under 23 alla Prima Squadra. Cosa che d'altra parte, l'Atalanta ha sempre fatto: quindi non è che io devo arrivare a inventarmi qualcosa ma soprattutto attraverso il mio bagaglio d'esperienza e a tutte le persone che lavorano qui, di poter disegnare il futuro del Settore Giovanile dell'Atalanta.
Un ruolo in FIGC, un ruolo all'ECA, non si ferma mai direttore?
Questo fa parte del bello del nostro mestiere. Sono sempre stato curioso e disponibile e soprattutto a livello europeo è un'opportunità enorme di crescita ma è anche figlio del ruolo che tu ricopri. L'Atalanta è un club, come l'Inter precedentemente, riconosciuto a livello europeo e quindi questo ti dà la possibilità di ricoprire dei ruoli come nel caso del Working Group dell'Eca o in Federazione in rappresentanza dei club di Serie A che ti permettono di dare un contributo al sistema. Porti a casa tanto, magari riesci anche a dare qualcosa. Ho sempre cercato di vedere in ogni situazione un'opportunità di crescita: dobbiamo cerchiamo di migliorarci tutti i giorni, questa è la caratteristica che ognuno di noi deve avere nel ricoprire un ruolo che ha a che fare con i giovani tutti i giorni. Dobbiamo essere dinamici e in movimento, positivi e sorridenti, e quindi torniamo al discorso di prima: dobbiamo essere un esempio.
Andando in conclusione, quest'ufficio, questa Accademia che ci sta accogliendo, questa sede porta un nome. Quello di Mino Favini
Porta un nome che per il calcio italiano è un'icona, che per l'Atalanta è la storia, per me e la maggior parte dei responsabili dei Settori Giovanili è un riferimento. L'ho detto nel giorno della mia presentazione e non lo dico perché sono qua: mi ha aiutato tantissimo e ha ispirato tantissime mie scelte senza che riuscissi ad avvicinarmi minimamente a quello che era lui. Il motivo di essere qui è un motivo di orgoglio perché tutte le volte che entro e vedo il nome e la foto, questa cosa qui ti dà qualcosa dentro che è difficile da spiegare e che peraltro il segreto che fa si che questo ambiente sia quasi magico per quello che infonde nelle persone e nei ragazzi che vengono qui. E questo è il merito di una grandissima persona che abbinava competenze tecniche altissime ed elevate, con un senso di umanità e di attenzione verso questi ragazzi che non dimenticherò mai. Io mi ricorderò sempre l'episodio di una partita che mi è rimasta impressa in cui l'Atalanta affrontava l'Inter, mi ricordo perfettamente dove si giocava e che età era, partita decisiva per andare avanti nelle fasi finali. L'Atalanta uscì da quella partita, Favini decise di non far giocare il miglior giocatore dell'Atalanta perché non so che tipo di comportamento aveva avuto nei giorni passati. Quindi, conta il risultato? No. Conta la formazione del giocatore, conta l'educazione. Quella partita l'Atalanta la perse, ma il ragazzo è diventato un giocatore e probabilmente lo è diventato per quella decisione di Favini che mi sembrò fuori logica. Io ero molto giovane, ma oggi ho imparato che è una cosa che va fatta a prescindere da quello che uno possa pensare sia il risultato del campo.
Grazie Direttore
Grazie a voi.