ESCLUSIVA SI Monaco, Resp. Sett. Giovanile: “La Francia produce tanti talenti? Ecco perché…”

Intervistato per TalentuoSi, lo spazio dedicato alla scoperta dei migliori settori giovanili in Italia ed Europa ideato da Giada Giacalone, il responsabile del settore giovanile del Monaco Pascal De Maesschalck, ha parlato così del vivaio della società del Principato e di come è strutturata uno delle academy più celebri d'Europa.

De Maesschalck, in una passata intervista lei aveva detto: “Se si vuole ottenere il successo, bisogna avere buoni giocatori”. Quindi, vorrei chiederle che cos'è per lei e per la sua squadra un buon giocatore e come fa a identificare e scovare un buon giocatore?

La domanda è semplice, è la risposta ad essere complicata (ride, ndr). Un buon giocatore per noi, è un giocatore dotato dal punto di vista tecnico, che sa bene come trattare il pallone. Fa parte del DNA del nostro club ed è un aspetto molto importante in fase di scouting. Il calcio contemporaneo poi impone anche un livello fisico e atletico significativo: dev’essere un giocatore in grado di giocare i 90 minuti e oltre, magari anche due volte a settimana a causa degli impegni europei. Dal punto di vista mentale, deve essere forte caratterialmente, soprattutto perché non sempre abbiamo un pubblico particolarmente numeroso qui nel nostro stadio. E infine è necessario che abbia una comprensione molto alta del nostro modo di giocare e del gioco in generale. Insomma, l’asticella dal punto di vista tattico, tecnico, fisico e mentale è piuttosto alta per noi, è molto chiara la linea da seguire. Sono criteri fondamentali su cui basiamo la nostra ricerca. Lo scouting solitamente comincia in giovane età, tra i 12 e 13 anni all’incirca, anche se in questa fase non si parla di criteri quanto di indicatori che ci danno una direzione per capire se il giocatore potrà essere pronto per allenarsi con la prima squadra ed eventualmente giocare.

Quanti scout e quante altre persone sono coinvolte dal Monaco per individuare giocatori giovani e di talento in tutta la Francia? E come vengono selezionati?

In totale siamo una squadra composta da 13 scout in tutta la Francia, di cui 8 professionisti più altri 4, per quanto riguarda l’academy. Quindi parliamo di un range di età che va dai 10 anni ai 15/16. In questa fase i ragazzi vengono tenuti sotto osservazione, monitorati e supportati, ma sempre nei loro rispettivi club. Successivamente, tra i 15 e 16 anni appunto, si uniscono a noi, a partire dall’U17. C’è un responsabile che si occupa del recruitment, della selezione dei giovani talenti. È a capo del team di 13 persone; ogni settimana vengono stilati dei report, organizziamo riunioni, cerchiamo di comporre una squadra di potenziali giovani calciatori. 3 volte l’anno alcuni giocatori che abbiamo selezionato vengono a Monaco per 3-4 giorni per essere valutati da vicino: qui decidiamo fondamentalmente chi ingaggiare e chi no.

Qual è il vostro rapporto con le famiglie dei giocatori? Quanto è importante creare subito un buon feeling con i genitori?

La famiglia di provenienza del giocatore è uno dei quegli indicatori – non criteri, dato che in questo caso ci si riferisce solo alla sfera tattica, tecnica, fisica e mentale – che prendiamo in considerazione in questa fase. Gli indicatori riguardano l’aspetto sociale e caratteriale, quindi anche la testa del ragazzo: come pensa, cosa prova, come lavora. Per quanto riguarda la famiglia, abbiamo rilevato che un avere un ambiente stabile alle spalle è uno dei principali elementi che contribuiscono al successo. Illustriamo il progetto a molti giovani prospetti e in quel momento vediamo quante e quali famiglie sono contente di ciò che abbiamo presentato loro. Moltissime famiglie apprezzano la nostra proposta ed è con loro che vogliamo lavorare.

Lei ha maturato una grande esperienza in questi anni di lavoro con i giovani. Pensa che sia cambiato il modo di approcciare i calciatori, negli ultimi dieci/quindici anni?

Il modo di approcciarsi a questo mestiere è cambiato moltissimo nel tempo, perché è il mondo del calcio ad essersi trasformato in maniera profonda nel corso degli ultimi 10, 15 anni. Tutto sta cambiando a grandissima velocità perché oggi il calcio è facilmente accessibile tutti soprattutto in tv, quasi a ogni ora del giorno. Ma anche l’impatto dei social media è stato consistente. I giocatori spesso pensano di essere abbastanza forti troppo presto nel loro percorso di crescita. Conoscono i loro obiettivi, sanno bene cosa vogliono, ma non sanno come arrivarci. Noi cerchiamo di farci carico questo aspetto, quasi come parte di un sistema educativo. Cerchiamo di fargli capire che il processo è lungo, che non sono ancora così forti come ogni tanto credono di essere. Proviamo a farli essere realistici e maturi. È un grande cambiamento rispetto al passato e il ruolo delle academy in questo senso è importantissimo.

In Italia, e credo anche negli altri Paesi, anche i giocatori molto giovani sono rappresentati da agenti. Quanto è difficile il rapporto con l'agente? Pensa che tutti gli agenti facciano l'interesse della famiglia e dei ragazzi?

Dipende dagli agenti con cui abbiamo a che fare. Di base non siamo contro i procuratori. Spesso abbiamo bisogno che gli agenti contribuiscano a far capire alle famiglie come intendiamo lavorare con il ragazzo. Se ragionano sul lungo periodo, allora vuol dire che abbiamo un obiettivo comune perché se il giocatore fa bene, lui sarà felice, la famiglia sarà felice e l’agente sarà felice. Se invece ragionano nel breve termine ciò può rappresentare un ostacolo complicato da superare per noi e per ciò che vogliamo realizzare con il ragazzo. Gli agenti devono giustamente proteggere i diritti e fare gli interessi dei giocatori, noi gli illustriamo il progetto e le possibilità di crescita. C’è sempre una discussione iniziale tra le parti, ma una volta che gli agenti comprendono le nostre intenzioni e viceversa, si può lavorare insieme. Ogni tanto è semplice, ogni tanto lo è meno. Fa parte del lavoro, fa parte di questo mondo. Il dialogo con gli agenti si prende sempre una percentuale di tempo importante, spesso non è facile ma non sempre è necessariamente negativo il rapporto con loro.

Come sono organizzati il settore giovanile e i campionati giovanili in Francia. Come è diviso e organizzato per età. Pensa che sia efficace?

Ti parlo di come è strutturato il settore giovanile del Monaco: si parte dall’U17, solitamente i giocatori vi entrano intorno ai 15 anni. Prima rimangono con le loro squadre locali, perché non ci si può trasferire prima di aver raggiunto quell’età. Lì hanno la possibilità di unirsi alle “talent pool school” della Federazione, dove vengono allenati da tecnici federali, prima di arrivare qui all’età di circa 15 anni. Dai 16 anni in avanti cominciamo a lavorare in academy sul loro sviluppo. Un passaggio diverso, questo, rispetto a molti altri Paesi, perché hanno la possibilità incontrarsi e misurarsi con tanti altri talenti della loro età entrando in una fase diversa, con la testa libera, con il loro bagaglio di abilità già strutturato e con tanta fiducia nei loro mezzi e nelle loro capacità dopo aver giocato anni in squadre locali e amatoriali. Una volta arrivati qui, con queste basi, salgono gradualmente di livello. Rispetto al Belgio, dove ho lavorato per diverso tempo, è un passaggio decisamente più “morbido”: lì già dai 9/10 anni giocano in maniera competitiva ogni settimana per 5/6 anni prima di entrare in academy. In Francia arrivano a quest’età molto più “freschi”, più rilassati. E credo che questa sia una delle principali ragioni per cui la Francia produca così tanti giovani talenti.

Pensa che il settore giovanile del Monaco sia il suo marchio di fabbrica? E vuole dirci cos'è l’academy e perché è considerata una delle strutture sportive più importanti d'Europa?

Sì, assolutamente. Basti pensare ai tanti grandi giocatori che questo club ha prodotto nella sua storia, che nulla hanno a che fare con me. 5 di questi, cresciuti nel Monaco, ad esempio hanno vinto il Mondiale: Petit, Thuram, Trezeguet, Henry e Mbappé. Senza contare tutti coloro che hanno vinto la Champions League e raggiunto livelli altissimi in tutta Europa. Recentemente, nell’ultima pausa per le Nazionali, 10 nostri giocatori sono stati convocati con la Francia, come nessun altro club in Ligue 1. È la storia del Monaco: lavorare con i giovani, reclutare e sviluppare talenti, dandogli l’opportunità di giocare.

Quanto è coinvolto l'AS Monaco nel suo movimento giovanile? Parlo degli investimenti nello scouting, nella struttura e in tutto il resto.

Gli investimenti sulla struttura dell’academy sono tutti a carico del club. Sia a livello di scouting, sia a livello scolastico. Abbiamo i nostri insegnanti e circa 50 studenti, che vanno sistemati nelle classi e a cui va dato accesso a strutture efficienti che permettano loro di essere a loro volta efficienti nel loro sviluppo e nel loro percorso scolastico. E lo stesso discorso vale per gli allenatori e lo staff: quindi, sì, ci facciamo carico di tutto.

Parliamo della vita in Academy: come è suddivisa la giornata dei ragazzi? Quante ore di allenamento, quante di scuola e studio?

Quest’anno abbiamo cambiato qualcosa rispetto al passato. Ad esempio, i ragazzi vanno a scuola al mattino e nel pomeriggio si allenano, o viceversa, tranne al giovedì in cui hanno la possibilità di allenarsi tutto il giorno, con l’aggiunta di analisi video, colloqui con i mental coach e sessioni particolari. Poi in base a quando giocano, se al sabato o alla domenica, nel giorno in cui non sono impegnati riposano. E via così per tutte le settimane. Dal mio punto di vista è una routine piuttosto difficile da affrontare: i giocatori arrivano qui nella prima settimana di luglio e tornano a casa fine ottobre. È una vita dura, insomma.

Pensa che sia necessario, soprattutto per i più giovani, avere altri interessi oltre al calcio? E incoraggia i ragazzi a coltivare altri interessi per diventare uomini più consapevoli?

Sì, penso sia assolutamente necessario avere interessi all’infuori del calcio. I ragazzi hanno bisogno di staccare dal punto di vista mentale, non possono sempre rimanere concentrati su questo mondo, perché alla lunga può cominciare a diventare usurante. Qualsiasi altra passione è ben accetta: a molti ragazzini intorno ai 15 anni piace giocare a calcio balilla, ad esempio, spesso escono per una passeggiata. Hanno dei momenti per fare tutt’altro. Alcuni leggono, altri ne approfittano per chiamare i propri familiari, altri ancora per guardare semplicemente la tv. Hanno assolutamente bisogno di questo equilibrio, al 100%.

Penso che lei sappia che non tutti i giovani diventeranno giocatori professionisti: quanto è importante far capire loro che ci sono altre strade nella vita oltre al calcio?

Per noi la scuola è la cosa più importante. Abbiamo due obiettivi: preparare i giocatori per arrivare un giorno a diventare giocatori professionisti e, sullo stesso piano, aiutarli a diplomarsi a 18 anni. Negli ultimi 4 anni solo un ragazzo non è riuscito a farlo: è un dato che ci rende molto orgogliosi, perché rispetto alle altre scuole in Francia è fuori scala. Abbiamo una percentuale di ragazzi diplomati in tempo altissima in confronto. Qui i ragazzi compiono una scelta, quella di investire anche su sé stessi, perché il successo passa necessariamente da qui. È un investimento che non li fa diventare automaticamente calciatori, ma che gli permette di avere un diploma e di porre le basi per avere successo in altri aspetti della vita. È una grande responsabilità per noi e un aspetto a cui teniamo molto.

Con questa maglia abbiamo visto Thierry Henry, David Trezeguet, che ha giocato anche in Italia, poi qualche anno fa Kilian Mbappé. Campioni straordinari che hanno conquistato la Coppa del Mondo con la Nazionale francese. Quanto sono d'ispirazione per i suoi giovani?

Diciamo che nasce tutto da basi solide. Abbiamo un team di allenatori stabile, che è lo stesso che lavorò con Kylian Mbappé quado era qui. Sanno cosa significa crescere giocatori di alto livello, basti pensare a quello che è diventato Mbappé oggi. Hanno esperienza e cercano di lavorare sugli aspetti giusti che consentono ai giocatori di raggiungere determinati obiettivi. È giusto che i ragazzi si rivedano in lui – anche se non lo sono, te lo posso assicurare (ride, ndr) –, che lo prendano come role model, come esempio, dato che è cresciuto qui. Da quello che mi hanno detto – non ero ancora qua quando era nell’academy del Monaco – oltre che estremamente talentuoso era anche molto appassionato: si guardava le partite, le analizzava, studiava tanto anche da questo punto di vista.

Organizzate incontri con le leggende del Monaco per creare un legame con i giovani giocatori?

Sì sì, assolutamente, le organizziamo spesso e ogni tanto vengono qui. Cerchiamo di alimentare il legame.

In questa stagione molti giocatori del settore giovanile hanno debuttato in prima squadra: qual è la sua sensazione quando succede?

È una delle sensazioni migliori in assoluto per chi lavora in un settore giovanile. Che tu faccia le pulizie, che tu sia un allenatore o una figura responsabile, vedere un ragazzo cresciuto nel tuo settore giovanile arrivare in prima squadra è qualcosa di unico. Quest’anno siamo molto orgogliosi del fatto che dopo 3 anni qui Maghnes Akliouche (classe 2002, ndr) stia diventando sempre più titolare e della crescita di Soungoutou Magassa (classe 2003, ndr), che dopo aver giocato due partite l’anno scorso, in questa stagione è pressoché sempre in campo. Siamo molto contenti dei progressi di Edan Diop (classe 2004, ndr), anche se al momento è infortunato. Ma lo stesso vale per Eliot Matazo e Chrislain Matsima (entrambi classe 2002, ndr). Al momento abbiamo circa 8 giocatori del settore giovanile che sono ormai parte integrante della prima squadra.

Il legame tra academy e prima squadra accelera lo sviluppo dei giocatori?

È parte della politica del club. Il Presidente vuole che giochino i nostri giovani e quindi è facile convincere i ragazzi a venire qui, anche perché la percentuale di giocatori del vivaio che arrivano in prima squadra parla per noi. Ogni allenatore che arriva al Monaco dev’essere allineato con questa politica, quindi qualsiasi nuovo tecnico dev’essere intenzionato a seguire questa direzione. La linea è molto chiara. Ad esempio, durante la pausa per le nazionali 8 giocatori salgono per giocare con la prima squadra. Ogni tanto succede anche il contrario, come quando chi gioca meno o chi deve recuperare dal punto di vista fisico va ad allenarsi con i ragazzi. I giovani vengono così visti dallo staff dei “grandi”, hanno la possibilità di misurarsi con il livello della prima squadra. E questa stretta connessione crea grande stimolo e motivazione per i ragazzi.

Che cos’è l’Élite Group?

“Élite group” per noi il link tra U19 e prima squadra. Gioca solamente partite amichevoli, ma di alto livello. Abbiamo da poco giocato con la prima del Brest. Tra poche settimane giocheremo con Benfica, Everton, Paris FC e Brentford… con molti dei migliori settori giovanili in Francia e in Europa. Abbiamo grande flessibilità per fissare queste partite, flessibilità anche nella gestione della rosa con la prima squadra. Non c’è un campionato, ma la competitività non manca mai, perché si gioca per vincere, per competere ugualmente, anche se non strettamente e formalmente inseriti in una lega. Ci permette anche di lavorare individualmente a livello fisico: giocando le competizioni spesso non si ha la possibilità di farlo in determinate aree che magari necessitano intervento. Quando giochi campionati o coppe formi una squadra, quando giochi solo amichevoli formi giocatori a livello individuale. E questo fa una grandissima differenza.

Com'è il rapporto con le academy degli altri club?        

Penso che il nostro sia un club corretto nel legame con gli altri club, cerchiamo di stabilire un contatto con tutti. Siamo molto aperti, abbiamo un ottimo rapporto col Nizza, con il Marsiglia, nonostante ci sia rivalità sul campo. Abbiamo fissato diverse amichevoli con Lione, St. Etienne, Lille… Non sarebbe possibile se i rapporti non fossero buoni.

Quali differenze ci sono nella gestione dei settori giovanili in Francia? In Italia, ad esempio, è molto diverso…

Lo so bene (ride, ndr). Il fatto è che in Francia, in Ligue 1, l’anno scorso più di 100 giocatori nati tra il 2002 e il 2006 hanno avuto l’opportunità di giocare in prima squadra per un totale di 90mila minuti complessivi. Nella Ligue 2 idem, con lo stesso numero di giocatori che hanno giocato bene o male lo stesso numero di minuti in stagione. Nei 5 maggiori campionati europei, la differenza è enorme da questo punto di vista. Credo che faccia parte della nostra tradizione, dare possibilità ai giovani di giocare. Nella mia esperienza posso sicuramente dire che tanti ragazzi commettono errori, ma anche giocatori più navigati non ne sono esenti. Un calciatore più esperto è necessariamente più forte? Se guardiamo ciò che sta facendo Soungoutou Magassa, ad esempio, non gli si può far giocare appena 5 o 10 minuti: bisogna continuare a dargli la possibilità di fare esperienza di settimana in settimana. È una predisposizione questa che fa parte della nostra cultura, penso. Per questo per me, in quanto straniero, è una grande opportunità lavorare qui, proprio per il ruolo centrale che hanno il settore giovanile e la crescita dei ragazzi del vivaio. È un marchio di fabbrica del Monaco, ma molti altri club in Francia stanno facendo ugualmente bene sotto questo aspetto. In Italia c’è una preparazione molto più profonda dal punto di vista tattico. Purtroppo l’età media delle prime squadre è tra le più alte in Europa, quindi un giovane in Italia dev’essere molto paziente ed essere mentalmente molto forte (perché non è semplice scalare le categorie giovanili, ndr).

Pensa che sia più difficile far crescere un uomo o “creare” un giocatore professionista?

Penso che non si possano “creare” giocatori professionisti. O sei un professionista o non lo sei, a noi sta solamente svilupparlo. È qualcosa che dev’essere dentro di te. Per quanto riguarda l’aspetto umano, posso dirti che ciò che facciamo qui a La Diagonale – con poco più di 70 persone e altrettanti giocatori – è improntato proprio sulla creazione di brave persone (prima ancora che buoni calciatori, ndr). È uno dei nostri principali obiettivi. Ogni tanto penso che ci riesca addirittura troppo bene (ride, ndr), perché spesso c’è bisogno di essere aggressivi in campo. E se sei cresciuto troppo bene, c’è il rischio che questo lato sia carente.

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