Beppe Marotta, ad dell’Inter, ha parlato ospite all’evento Sport Industry Talk, organizzato da RCS “Lo stadio rappresenta un asset fondamentale perché dà grande senso di appartenenza e garantisce la valorizzazione delle risorse – dice l’ad interista -. Lo stadio è un fenomeno di interesse nazionale, questo eliminerebbe la conflittualità nell’iter burocratico, dovendo passare da Comune e Regione. Renderebbe più fluido il percorso”.
“Quando si parla di strutture si deve però parlare anche di centri sportivi, dove crescono i calciatori. Tanti club di A non possiedono il centro sportivo, noi come Inter abbiamo un piccolo gioiello come la Pinetina ma sul settore giovanile siamo molto carenti e questo è un grandissimo problema. Potrebbe essere sostituito se il sistema scolastico si facesse carico di far giocare anche i bambini delle elementari. In Spagna fino a 12 anni lo sport è nelle mani del sistema scolastico. Oggi per giocare negli oratori devi pagare una quota associativa e non è giusto. Questo porta anche a un grande problema nel generare talenti perché se non ci sono tanti affiliati non puoi reclutare i giocatori di chiaro interesse nazionale. Il discorso stadio dev’essere un’attrazione per l’investitore privato perché altrimenti la gente non si avvicina e poi lo Stato deve intervenire per considerare un asset come lo stadio di chiaro interesse nazionale. In Europa sono stati costruiti 153 stadi negli ultimi anni, uno solo in Italia. Siamo fanalino di coda”.
Sui diritti tv: “Il primo compito del management che gestisce il calcio è valorizzare le risorse. Principalmente avere stadi funzionali che possano essere un riferimento della collettività, in secondo luogo valorizzare i diritti tv. La Premier League guadagna 4 miliardi e non trasmette nemmeno tutte le partite interne. Noi le facciamo vedere tutte… All’estero incassano 2 miliardi e noi speriamo di arrivare a 300-350 milioni di euro. Il grande gap è questo. Anche noi possiamo garantire un buono spettacolo, non a caso abbiamo avuto tre finaliste in Europa. Il made in Italy vale”.
Sul Decreto Crescita. “Si applica anche agli allenatori, non solo ai giocatori. Mourinho ha rigenerato il fenomeno Roma in termini di attrattiva. Ed è sotto Decreto Crescita. Dovessimo riportare De Zerbi a casa, per esempio, senza Decreto Crescita non ce la faremmo. Vale lo stesso per altre figure che potremmo riportare a casa e a cui potremmo applicare il Decreto”.
Sugli obiettivi stagionali: “Seconda stella e pareggio di bilancio sono raggiungibili? Chi più spende più vince non è un’equazione sicura. Il concetto che esalto è la competenza. Attraverso questa puoi ovviare alle difficoltà finanziarie. Il calcio è gioco ma anche attività d’impresa. Servono manager. Italo Allodi diceva che il calcio è l’unico mondo in cui un muratore può diventare architetto. Io invece lotto per valorizzare la competenza che ognuno può esprimere. Meglio un’altra finale di Champions o la seconda stella? Bella domanda. La seconda stella rimarrebbe, ma tiriamo una monetina e vediamo cosa viene tra le due. Magari la finale se vinta? Certamente…”.
Calendari fitti? “Barella ha fatto 57 partite di club più quelle della nazionale, lo scorso anno. C’è un logorio psicofisico durante il gioco. Ci deve essere un confronto con Fifa e Uefa per modulare il calendario. Il rischio d’impresa è del club, se si fa male un giocatore lo paghiamo noi. Il caso Eriksen è emblematico. Il confronto serve quanto prima perché va tutto a discapito anche dello spettacolo