Sempre più capocannoniere indiscusso, sempre più decisivo per l'Inter: l'1 a 1 maturato fra i nerazzurri e la Juventus ha confermato a Simone Inzaghi l'imprescindibilità di Lautaro Martinez, autore del gol del definitivo pareggio, il suo 13esimo in questo campionato. L'argentino si sta calando perfettamente nel ruolo di capitano, crescendo sotto l'aspetto della leadership in campo, oltre che a livello di continuità di rendimento, uno dei pochi aspetti sui quali in passato gli veniva talvolta mossa qualche critica.
In esclusiva per SPORTITALIA è intervenuto per parlare con lui Hugo Reñones, che allenò l'attaccante in occasione di un torneo giovanile Under 17 a Bahia Blanca, la Liga del Sur, ai tempi in cui il Toro militava nel Liniers.
"Dal primo giorno in cui l'ho visto, ho capito che sarebbe stato un vero crack" – racconta il tecnico, senza girarci tanto intorno. "Calciava con entrambi i piedi già a 16 anni" – continua – "ed aveva un eccellente colpo di testa, che è sempre stata una qualità innata in lui". E non è l'unico aspetto sul quale sembra aver mantenuto una certa indole: "Una capacità che ha da sempre e che possiamo vedere anche oggi è quella di sapersi adattare perfettamente a chi ha a fianco: ha un partner d'attacco diverso dagli scorsi anni, eppure sta facendo benissimo. Ad ogni giocatore cui lo affiancavamo riusciva a trovare feeling e sintonia, adattandosi. Un sacrificio tremendo per la squadra: in pochi hanno la grande intelligenza che dimostra di avere lui nei confronti dei compagni".
Un campioncino, dentro e fuori dal campo già allora: "Ho i ricordi più belli di lui come giocatore, ma anche come ragazzo: era estremamente educato e rispettoso e qui devo per forza citare la sua famiglia, i suoi genitori, che lo hanno formato in quel modo". Lauti era un ragazzo semplice: "Studiava e giocava a calcio, sempre accompagnato dai suoi cari, che gli stavano vicino passo dopo passo: credo che questo sia stato molto importante per il suo percorso".
Un Lautaro che faceva sempre gol, ma non sempre da attaccante: "Fece 13 reti in 13 partite in quel torneo giovanile. Nella mia testa è sempre stato un attaccante, ma in una partita giocò anche da trequartista a testimonianza del bagaglio tecnico che ha sempre avuto. Faceva tanti gol, in tutti i modi: di testa, di destro, di sinistro, in acrobazia, spesso di pregevole fattura".
La rete alla Juventus è l'ennesima certificazione che il Toro non fa più prigionieri e non conosce pause: "Non so chi è che lo criticasse in tal senso, ma dico che chi discute uno come lui non capisce nulla di calcio. Noi argentini abbiamo un crack da goderci per molti altri anni".
Infine, un appello che lancia al capitano nerazzurro: "Ho 72 anni e fra i desideri che mi sono rimasti c'è quello di rivederlo, riabbracciarlo e poter mangiare qualcosa con lui, un giorno. Spero che legga queste parole, perché sarebbe meraviglioso per me".
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