I carri dedicati a Marcus Thuram saranno pieni ancora prima di Carnevale, c’è tempo. Si potrebbe dire che c’è il tutto esaurito già adesso: su quel famoso carro vi hanno preso posto i convertiti, gli ex diffidenti, gli eterni pessimisti, i censori del piffero. In sostanza il luogo comune era, più o meno, che Thuram non sarebbe stato all’altezza dell’Inter, che il rimpianto sarebbe stato enorme. Il rimpianto di sostituire Lukaku, uno ritenuto “insostituibile”. Avevano dimenticato, chissà, che Marcus era arrivato a zero, le commissioni e tutto quello che volete ma zero per il cartellino. E per uno della sua età e delle sue qualità sarebbe stato opportuno aspettare con pazienza, senza alcun tipo di paragone perché con i paragoni non si va lontano. Che notte, quella notte tra il 22 e il 23 giugno: il sorpasso dell’Inter che si era manifestato al rintocco della mezzanotte precedente, molto più di un’azione di disturbo, malgrado qualcuno continuasse a mandarlo a un passo dal Milan oltre 20 ore dopo da quel contropiede ben riuscito. I rossoneri sono andati per la strada di competenza, hanno completato lo stesso una buonissima sessione di mercato, nel frattempo Thuram ha spiegato le motivazioni della sua scelta (convinta). Se avesse voluto il Milan con forza, avrebbe firmato nei 10 giorni precedenti e sono barzellette quelle di chi sostiene che si è trattato di una differenza di ingaggio (tra l’altro non si parla di un gap da tre o quattro milioni a stagione). Thuram è Thuram, punto, senza paragoni. E in coppia con Lautaro ha già mandato un messaggio: calcisticamente sono fidanzati così affiatati che nessuno può permettersi di turbare la loro felicità. Già a fine ottobre, pochi mesi dopo essersi conosciuti.
La chiamano giustizia sportiva, è lenta come un elefante, interviene spesso (quasi sempre) fuori tempo massimo, sarebbe da rifondare eppure nessuno si degna. Ormai si capisce come funziona: siamo in Italia, non c’è fretta. Se poi Gigi Buffon dice che l’Europeo 2032 sarà una buona occasione per mettere a posto gli stadi, trattasi dell’ennesima conferma della mentalità italiana perennemente in ritardo. Gli stadi andrebbero fatti a prescindere da un Evento, non a caso l’ultima iniezione vera appartiene a Italia ‘90, stiamo parlando di 33 anni fa. Da quel momento, i nuovi stadi soltanto per un’iniziativa privata, mica è una cosa degna di un Paese serio. Ma torniamo alla giustizia sportiva: se Fagioli, che non scommetteva sulla squadra che gli pagava lo stipendio, prende 7 mesi da scontare sul campo, mentre Tonali (che scommetteva sulla squadra che gli pagava lo stipendio) ne prende 3 o 4 in più, dovremmo arrenderci definitivamente. E chiamarla Ingiustizia Sportiva.
Thiago Motta è un grande allenatore e su questo particolare dovremmo essere d’accordo. Il passaggio essenziale della sua carriera è stato quello di La Spezia, lì abbiamo intuito che avrebbe avuto un futuro a colori. Dalle parti del “Picco” gli avevano consegnato una squadra normale, quasi banale, con l’impossibilità di agire sul mercato (sessioni bloccate) e con il forte rischio di finire in Serie B. Il suo direttore sportivo dell’epoca gli stava facendo la guerra, probabilmente con la speranza di farlo fuori alla prima occasione. L’occasione si presentò a Napoli, Motta sarebbe saltato in caso di sconfitta. Invece riuscì a vincere, il suo direttore sportivo dell’epoca stava sbattendo la testa contro il muro perché il suo piano perfido era saltato, Thiago restò in sella e centrò un’impresa quasi impossibile, la salvezza. A quel punto uno normale avrebbe valutato qualsiasi proposta, invece Motta decise di tornare in pista soltanto se ne fosse stato pienamente convinto. Il suo sogno è sempre stato il Paris Saint-Germain, in alternativa una big italiana ma soltanto a patto di poter incidere e di non essere preso per il bavero. Proprio per questo motivo ha detto no pochi mesi fa al Napoli, sarebbe stato un doppio supplizio: entrare subito dopo lo scudettato Spalletti sarebbe stato un grande rischio; i rapporti con De Laurentiis, caratteri forti, avrebbero fatto saltare il banco dopo pochi giorni. Un allenatore deve avere la forza di rifiutare quando non si sente sicuro, anche questa è personalità. Dopo l’impresa di La Spezia, non c’era ancora il Napoli all’orizzonte, ma Thiago Motta decise di non aver fretta e sali sull’autobus in corsa Bologna convinto che avrebbe fatto un ottimo lavoro. Qualcuno lo ha accolto malissimo, soprattutto qualche cronista che pensa di essere il depositario della verità, lo stesso che ora lo esalta a dismisura. Ora Motta sta trattando il rinnovo per un solo anno, scadenza 2025, ma solo per non dare alibi ai calciatori (che lo apprezzano molto). Il suo futuro sarà presto altrove, con rispetto per le enormi ambizioni del Bologna.