Antonio Conte sale sul treno in corsa soltanto quando decide lui. Non è vero che abbia sempre detto no, al Tottenham aveva aperto nell’ottobre 2021 dopo che qualche mese prima aveva chiuso le porte. Evidentemente lui può cambiare idea in pochi giorni o in poche ore, importante è che ne sia convinto. La domanda è: il Tottenham gli dava stimoli superiori al Napoli attuale? Già, perché – andiamo a stringere – non ci sono dubbi sul fatto che, parole a parte, la valutazione sia stata fatta sull’opportunità di rientrare oppure no. Ben oltre la necessità e il desiderio di restare in famiglia, chi non vorrebbe?, altrimenti rischiamo di prenderci in giro. Il Napoli per Conte è evidentemente una squadra dell’ottimo potenziale ma con diverse cose a rischio: il contratto di Osimhen, ancor prima dell’infortunio, l’appagamento inconscio post-scudetto che puoi combattere magari a luglio e non a ottobre. Anche a Paratici aveva detto no l’estate precedente per convertirsi pochi mesi dopo, ma da Paratici a De Laurentiis c’è un bel salto che va comunque valutato, pesato, ponderato. Lo stesso salto che ha portato Conte a dire “no, grazie” perché vuole godersi la famiglia, certo, ma anche e soprattutto perché non c’erano le condizioni ideali per sviluppare il suo credo calcistico. Conte è un animale da lavoro, dopo due mesi di stop non gli sembra vero e spinge per rientrare, figuriamoci se i mesi sono più di due come in questo caso. È evidente che voglia restare alla finestra, soprattutto perché non ha la spinta forte di tornare subito in gioco. E Conte vive di spinte forti. Restare alla finestra significa capire cosa accadrà anche a Torino (bianconera) o Roma (giallorossa). Lo stesso Napoli avrebbe un senso soltanto a giugno, non a ottobre. Non proprio un motivo banale per respingere De Laurentiis e le sue necessità.
Ciro Immobile è stato criticato perché ha rilasciato un’intervista esprimendo il suo momento di totale malessere. Gelosie senza senso. Oggi si va a sindacare persino se uno parla, con civiltà, esprime il suo pensiero da bandiera acclarata della Lazio e dopo aver segnato la bellezza di 198 gol. Da noi funziona così, anche da parte di chi la prima e unica notizia l’ha portata il giorno della nascita, certificata dall’ufficio anagrafe, e poi nulla più. Immobile non è felice, alcune critiche lo hanno ferito non poco, soprattutto perché sono arrivate dai social che spesso saranno beceri ma che tuttavia esprimono lo stato d’animo. Ciro ha parlato dell’Arabia che lo aveva tentato a luglio, quella volta disse no dopo una profonda riflessione mentre stavolta -parole sue – non chiuderebbe tutte le porte. Ecco, il punto è proprio questo: non rovinare una bellissima storia d’amore per qualche crepa, urge prendere una decisione che sia quella vera, senza voltarsi indietro e guardare il passato. Già, perché il passato resta – indelebile – e potrebbe essere soltanto macchiato da una decisione che tenga conto di ciò che è stato senza pensare alle vicende attuali. La morale di questa storia è semplice semplice: se Ciro Immobile non dovesse essere più felice, se non sentisse più la fiducia, se pensasse di essere un riempitivo nel ricordo dei giorni bellissimi che furono, è giusto che prenda la decisione di andare. Vale per la Lazio se la prosecuzione di questa storia dipendesse da una forzatura, soltanto perché stiamo parlando di una bandiera che quando smetterà diventerà una leggenda per il club. Basterà guardarsi negli occhi, serviranno cinque minuti, non ci sarà bisogno di chissà quale no stop per andare a una decisione logica, libera, aperta, senza condizionamenti. Perché poi, dal primo febbraio, qualsiasi tipo di “violenza reciproca” pur di restare insieme nel ricordo dei meravigliosi giorni che furono potrebbe essere pagata a caro prezzo. E sarebbe peggio.
Sulla vicenda scommesse è stato detto tutto e il contrario di tutto. Quelli che si scandalizzano perché le soffiate sono arrivate da Corona sono gli stessi che spendono fake news e neanche chiedono scusa. A me non interessa il passato di Corona, piuttosto che venga fatta chiarezza su questa vicenda. Se Corona anticipa la Procura della Repubblica, il problema è della Procura, di chi si occupa di quell’argomento, con tanti saluti ai moralisti del piffero. A livello di informazione sportiva si ragiona spesso alle zone di competenza e ai bacini di utenza, chi sostiene il contrario è un bugiardo. Prendiamo Rocco Commisso: non troppi anni fa qualcuno gli ha dato del “mafioso”, magari è lo stesso che adesso si occupa delle scommesse con le morali di chi si sente super partes, quasi un giudice di primo livello. Fondamentalmente si tratta di un parolaio di primo livello, indifendibile. Lo stesso che, se Commisso dovesse continuare a vincere dopo avergli dato del “mafioso”, sarebbe costretto a chiedere un mese supplementare di ferie per smaltire meglio. Questa è l’Italia oggi, sempre peggio.