Dal paraciclismo all’Ironman, per Andrea Pusateri i limiti non esistono (e ce lo spiega in un libro).
Ci sono uomini e donne con una forza di volontà e un coraggio indescrivibili. Atleti che vanno oltre i propri limiti e che fanno della disabilità la loro forza. Uno di questi è Andrea Pusateri: 30 anni, monzese e dall’età di 4 anni senza una gamba, amputata dopo un grave incidente ferroviario nel quale la madre ha perso la vita per salvarlo.
Paraciclista, ma anche triatleta, maratoneta e Ironman, Andrea ha raccontato la sua storia nel volume “I limiti non esistono – Le sfide che hanno cambiato la mia vita”: autobiografia pubblicata per Piemme da Mondadori e disponibile da settembre in tutte le librerie.
“Questo libro parla principalmente della mia vita, delle cose belle e brutte che mi sono capitate nella mia carriera – ha spiegato Pusateri – Lo sport ha rappresentato tutto per me. Ti fa capire che per raggiungere qualcosa devi fare dei sacrifici, perché come la vita anche lui non ti regala niente. Il messaggio che con questo libro cerco di dare a tutti, giovani e non, è che i limiti si possono superare e che possiamo vivere una vita bellissima nonostante le disabilità”.
“Ho iniziato a correre in bici sin da piccolo e presto il divertimento si è trasformato in professione regalandomi parecchie soddisfazioni. La mia vittoria più importante è stata la gara di coppa del mondo del 2015. Quel trionfo a Magnago mi ha cambiato la vita a livello ciclistico e la gara me la ricordo ancora come se l’avessi fatta ieri”.
Durante l’intervista, Andrea Pusateri ha sottolineato l’importanza di atleti come Alex Zanardi e Bebe Vio, ma allo stesso tempo commentato amaramente lo stato di salute del movimento paralimpico.
“Alex e Bebe li conosco bene, loro hanno fatto tanto per lo sport paralimpico anche se in verità c’è ancora molto da fare – ha aggiunto l’ex nazionale azzurro di paraciclismo – Molti non lo sanno, anche perché c’è poca visibilità su questo mondo, ma nello sport paralimpico non vince il più forte ma quello che può correre in una categoria migliore. È come il doping, anzi peggio. Parlo del paraciclismo, un mondo che conosco molto bene. Ci sono squadre che fingono di avere atleti con disabilità importanti, solo per farli correre in categorie a loro favorevoli e con avversari più deboli. Come ho scritto nel libro, non mi riconosco più in questo mondo e se avessi un figlio con una disabilità non gli farei mai fare sport paralimpico”.
A cura di Alberto Puccin
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