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Categories: Editoriale Calcio

Derby vinto e festa centenaria. Il calcio italiano non può fare a meno della Juve. Elkann rilancia con un aumento che placa gli scettici e zittisce gli odiatori

Derby vinto (senza Vlahovic e Chiesa) contro il Torino e festa (martedì) per celebrare i cento anni della famiglia Agnelli alla guida della Juve. I bianconeri restano nelle zone alte e rosicchiano punti a dirette antagoniste, ma c’è molto altro dietro questo momento particolare della società torinese. 

Novecento milioni in quattro anni non li ha mai sborsati e difficilmente li potrà sborsare un’altra società del nostro campionato. L’annunciato aumento di capitale, della Juventus, di duecento milioni significa un’ulteriore iniezione di fiducia e consolida il rapporto centenario con la famiglia Agnelli. La Juve rappresenterà sempre una storia a parte nel calcio italiano e internazionale. Più la butti giù e più sale su. Non la fermeranno processi, sentenze o accuse. Sarà sempre la squadra più amata e più odiata senza alcuna deroga. Nella storia recente segnaliamo due date: giugno 2010, ottobre 2018, segnano l’arrivo e la partenza di Giuseppe Marotta nel periodo di maggior fulgore della Juve. È il ciclo d’oro con sette scudetti di fila. La Juve ne vincerà altri due in discesa con successivi divorzi da entrambi gli allenatori (Allegri e Sarri): è l’inizio del declino con una gestione spericolata che va ad aggravarsi nel buio della pandemia. Con questo ennesimo rilancio economico si consolida, però, un fatto con cui tutti dovranno fare i conti: coloro che sbranerebbero o vorrebbero vedere distrutta o smembrata o retrocessa la società bianconera dovranno rassegnarsi per molti anni ancora a un destino che la vedrà sempre protagonista del nostro calcio. E con questo bisogna fare i conti perché si tratta di numeri che contrastano con odio e contrapposizione ideologica. Senza la Juve non c’è calcio, almeno quello che viene innalzato fino a diventare la quarta o quinta industria del Paese e non saranno certo i moralizzatori dell’ultima ora o gli improvvisati sacerdoti che inneggiano all’etica, dimenticando l’ipocrisia in cui sguazzano, a modificare il corso dell’ineluttabile. Rassegnatevi giornalisti anti Juve, scrittori anti, avvocati anti, magistrati anti, professori anti perché tutte le vostre antipatie che esondano spesso dal ruolo che interpretate costringendovi a brutte figure o rocambolesche retromarce non riusciranno ad abbattere un fico secco. La realtà è questa e non è un giudizio, lo ribadiamo, è un fatto, indipendentemente che possa piacere o meno. Poi si potrà scendere anche in profondità sulle singole accuse sfrondandole da ogni retro pensiero. Il pubblico juventino non è certo felice di apprendere vicende legate a imperizia, superficialità o vera e propria impreparazione di dirigenti che l’hanno trascinata in situazioni inadeguate. Ma è proprio la storia a dire che, nonostante tutto, c’è un valore ben più importante di tutto che non potrà mai essere alterato da nessuna accusa ed è l’amore per una squadra. La speranza affidata alla proprietà è che le scelte sul management ricadano su persone di qualità che seguano dei valori e non delle scorciatoie. La scaltrezza deve trovare un limite nell’opportunità e nel rispetto dei propri tifosi per non diventare delirio di onnipotenza come è capitato recentemente a qualcuno di famiglia. Citare Marotta è un riferimento: assumerlo è stato un grande merito, licenziarlo l’errore più grave. Oggi la speranza si chiama Giuntoli.

Paolo De Paola

Redazione

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