In attesa di Milan e Lazio, la due giorni di Champions si apre con due segnali largamente positivi a prescindere dai risultati ottenuti da Inter e Napoli. Nel paradosso, la serata di ieri è stata quasi più apprezzabile da Rudi Garcia uscito sconfitto dal Real Madrid, che da Simone Inzaghi che ha randellato il Benfica ben oltre il resoconto restituito dallo striminzito 1-0 portato a casa.
I partenopei contro la squadra più blasonata del Mondo hanno lanciato il chiaro messaggio di avere voltato le spalle alla presunta crisi di inizio settembre e di essere pronti a ripristinare quelle dinamiche di gioco che avevano contraddistinto ed incantato la passata stagione. La sconfitta contro l’ex Ancelotti è figlia di 10 minuti di follia collettiva che poco hanno a che spartire con un’analisi tattica che ha invece messo in luce meccanismi che hanno messo in seria difficoltà la corazzata spagnola avvicinando la meraviglia del Maradona a quella che scandiva le notti di Champions dell’autunno 2022. Fermarsi a giudicare la sconfitta ed un cammino europeo che si complica non renderebbe giustizia ai progressi che meritevolmente i Campioni d’Italia in carica stanno rimettendo in piedi. Tra parentesi, in maniera eccessiva e difficilmente spiegabile, sono sempre di meno gli addetti ai lavori che assegnano credibilità ad alto livello ad una squadra che è campione in carica e con una rosa assolutamente paragonabile a quella della Grande Impresa. Il Napoli ha dimostrato di essere più vivo che mai, anche ai massimi sistemi del calcio europeo, e darlo per sconfitto prima di iniziare la contesa potrebbe rivelarsi un autogol ben più clamoroso di quello di Meret.
Al contrario, un campanello d’allarme potrebbe riecheggiare per Simone Inzaghi dopo la vittoria contro il Benfica. Perché non è oggettivamente possibile che una squadra dominante come l’Inter di ieri sera, protagonista di un secondo tempo superlativo e con una intensità da fase a eliminazione diretta; una squadra che ha grandeggiato senza lasciare agli avversari la possibilità di capire nulla delle proprie trame di gioco, si limiti a vincere con un gol di scarto tenendo in vita le speranze della controparte sino al minuto 96. Probabilmente un caso, perché Lautaro Martinez non è solito perdonare le retroguardie avversarie con la benevolenza rivolta ai portoghesi, ma il mancato cinismo nerazzurro sta diventando un peccato originale che già la scorsa stagione costò parecchio alla squadra di Simone Inzaghi.
Per inciso, applausi a scena parte per il tecnico, splendido architetto di un’impalcatura tattica riconosciuta ormai da chiunque in giro per l’Europa, ed in grado di rispondere con i fatti alle critiche di chi come Arrigo Sacchi continua a definire “antico” un sistema di gioco che in fase di possesso porta letteralmente 10 effettivi su 11 a partecipare attivamente al sofisticato meccanismo offensivo. I riconoscimenti indelebili arrivano dal gioco prima ancora che dai risultati.
Una considerazione che si spera prima o poi possa apprendere anche Max Allegri alla guida della Juventus, anche se il mantra del “cortomuso” identifica una realtà opposta e dunque le speranze in tal senso sono ormai ridotte al lumicino. Anche perché la prestazione fornita contro l’Atalanta non è stata degna del blasone e della storia del club rappresentato. E va ad aggiungersi alle due precedenti stagioni di nulla o poco più, proposto da un tecnico per il quale alla fine sono sempre contati più i risultati della qualità ricercata ed espressa. Ebbene, in tutto il periodo trascorso con Allegri sulla panchina della Juve dopo il suo ritorno a Torino, i bianconeri sono stati in testa alla classifica soltanto nella prima giornata della stagione scorsa e di quella attuale. Due giornate su 83. Troppo poco per farselo andare bene, è la storia a gridarlo a squarciagola.