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Categories: Editoriale Calcio

Tutta la vita con Osimhen. Berardi e la “miopia”. Garcia e Sarri: la differenza

Victor Osimhen ha ragione da vendere. E sottolinea l’attuale inadeguatezza al ruolo di Rudi Garcia, l’allenatore scelto da De Laurentiis per consegnargli “addirittura” l’eredità di Luciano Spalletti Campione d’Italia. Usciamo dalla forma, di sicuro Osimhen ha sbagliato a reagire platealmente e in quel modo, un allenatore va rispettato. Addirittura la richiesta di utilizzare due attaccanti è sembrata un’esagerazione ulteriore, d’accordo. Ma mettiamoci nei suoi panni e prendiamo le distanze dalle educande delle domenica notte che il lunedì mattina si comportano peggio di chi giudicano. Osimhen era incazzato con il mondo, aveva sbagliato (colpa sua) un rigore, in quel momento avrebbe mandato a quel paese il parente più intimo. La sostituzione è stata una follia: Garcia è richiamare in panchina, con una partita inchiodata sullo 0-0, i due suoi uomini più tecnici, quello che gli avrebbero potuto consentire più di altri di vincere la partita anche all’ultimo secondo. Insomma, sembra la storia del marito che per fare un dispetto alla moglie… L’inadeguatezza di Garcia porta a utilizzare Raspadori per l’ennesima volta fuori ruolo, a dimenticare Lindstrom ancora in panchina e a non capire che l’attaccante che ha appena sbagliato un calcio di rigore va tenuto in tempo a costo di violentarsi. Esattamente come non si boccia un portiere indiscutibilmente bravo ma che ha fatto una papera appena dieci o quindici minuti prima. A quelle condizioni Allegri avrebbe dovuto sostituire Szczesny sabato scorso a Reggio Emilia e non l’ha fatto. È una questione di logica, di buon senso e di buon gusto. Il Napoli ha ancora la possibilità di rimettere in piedi una stagione, pochi giorni e non qualche settimana. Ma se usciamo dalla forma (la reazione di Victor nei secondi successivi alla sostituzione) resta la sostanza: Garcia è indifendibile.

Non si possono fare bilanci a fine settembre, sarebbe folle. Però una cosa su Domenico Berardi va detta: mediaticamente ha più nemici che amici, non appartiene al giro che conta, nelle pagelle che gli dedicano dimenticano un sontuoso assist a Laurienté che – da solo – avrebbe meritato “7,5”. Ma, più in generale, va segnalata la “miopia” di molti club, parliamo dei top club, che non hanno investito su uno dei pochi attaccanti esterni che fa della continuità una dei principali pregi. I numeri di Berardi sono sontuosi da anni, va sempre in doppia cifra tra gol e assist, un pacchetto completo. La Juve avrebbe prenderlo, se non fosse stato per i soliti problemi di bilancio che hanno frenato la sessione estiva di mercato. Ci ha provato, ci ha pensato, ha lasciato e forse ci tornerà presto. Ma avrebbe dovuto farlo soltanto per immaginare la resa che avrebbe dato Berardi accanto all’attuale Chiesa e alle spalle di Vlahovic. Anche le altre big da 4-3-3 non hanno pensato che un Berardi da 25 (milioni) sarebbe stato meglio di qualsiasi avventura all’estero. È una cosa che fa la differenza, la stessa differenza che ci chiedono di tracciare tra il momento del Napoli e quello della Lazio, in sostanza tra Garcia e Sarri. È abbastanza semplice, al netto di tromboni sfiatati e gente che parla per prevenzione. Garcia avrebbe dovuto non toccare il Napoli che ha ereditato, non toccare significava ripartire da lì, mantenendo un rapporto eccellente con chi era entrato nella storia. Non l’ha fatto e questo basta per renderlo colpevole, come si fa a entrare in tackle scivolato nei riguardi di chi ha scritto pagine indelebili? La gestione di un allenatore è molto più importante della tattica.

Capitolo Sarri: c’è chi sminuisce il secondo posto della scorsa stagione, arrivato – dicono i superficiali – per demerito degli altri. Basterebbe guardare i punti fatti rispetto alla media che serve per entrare in Champions, gente senza un perché. Il nodo della questione è la lista della spesa: Il mercato della Lazio è stato da “7+” (non ci rimangiamo il voto), ma Sarri avrebbe voluto Zielinski, Berardi, Ricci, ritenuti immediatamente perfetti per il suo calcio, invece sono arrivati Guendouzi, Isaksen e Rovella. Parliamo di talenti importanti, ma hanno le necessità di inserirsi. Di sicuro – bisogna essere onesti – si può (si deve) battere Lecce, Genoa e Monza a prescindere dal mercato. Di sicuro il livello non può essere quello di un andamento lento, banale e prevedibile come quello delle ultime partite di campionato. Una cosa è chiara: occorre vincere anche snaturandosi, troppo brutta la Lazio attuale per essere quella di Sarri.

Redazione

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