Classico esercizio all'italiana. Massacrare il più forte, anche aspramente, mettendone addirittura in dubbio qualità che in un mondo normale dovrebbero essere del tutto insindacabili. Intendiamoci, nulla da eccepire rispetto al sacrosanto diritto di critica in relazione ad una prestazione negativa, ma arrivare a spendere paragoni irriguardosi nei confronti di autentici fuoriclasse ha oggettivamente poco, se non nessuno, senso compiuto.
L'ultima puntata dell'ormai frequente saga, si è consumata a corredo delle prime uscite in Champions League di Milan ed Inter ed ha avuto come malcapitati protagonisti Rafa Leao ed in maniera minore ma comunque considerevole, Nicolò Barella.
Nel caso del portoghese del Milan, ci si è addirittura avventurati in paragoni che ribadiamo risultare, perlomeno ai nostri occhi, totalmente irriguardosi ed irriconoscenti nei confronti di un giocatore straordinario di 24 anni e che ha già all'attivo, tra le altre cose, una stagione da MVP del campionato con tanto di scudetto conquistato dalla sua squadra. Il casus belli è stato fornito dall'ormai celeberrimo colpo di tacco contro il Newcastle, preziosismo certamente fallito nell'esecuzione, ma comunque finalizzato a concludere un'azione del tutto personale che senza i virtuosismi del numero 10 rossonero non sarebbe nemmeno mai esistita. Leao non ha gettato nel bidone dell'umido una costruzione collettiva che gli aveva consentito di arrivare a battere a rete da posizione ravvicinata, mancando di rispetto al lavoro dei propri compagni di squadra e dei tifosi che aspettavano di esplodere per un gol decisivo dopo la disfatta del derby. Leao si è al contrario inventato con un personalismo da fantastico campione, una maniera di far uscire la sua squadra dall'empasse di quella sera, serpeggiando tra le maglie dei malcapitati avversari con una semplicità entusiasmante per chiunque abbia avuto la maniera di assistere alla sua giocata, e sbagliando la coordinazione (nemmeno semplice) del gesto tecnico che avrebbe potuto iscrivere quella rete alla lista di una delle più belle dell'intera competizione. Dare la caccia (mediatica) ad un giocatore dal valore incommensurabile dovrebbe essere l'obiettivo di chi aspira ad averlo, non di chi ha la fortuna di poterselo godere da vicino ogni 3 giorni.
Che poi non sia stato realmente l'MVP di quella partita è talmente palese che lo stesso Leao non avrebbe voluto ritirare il premio della Uefa, ma questo non può giustificare le valutazioni quasi rancorose che sono state spese nei suoi confronti.
Un caso non analogo, ma paragonabile, l'Inter lo potrebbe avere nel breve con Barella. Il centrocampista italiano è alla stessa maniera di Leao un fuoriclasse del reparto nel quale gioca. E' universalmente riconosciuto alla stregua di uno dei migliori interpreti che ci siano a livello continentale, e se solo ne avesse avuto l'intenzione avrebbe potuto scegliere di andare a giocare praticamente dovunque con i relativi ponti d'oro che gli avrebbero costruito per raggiungere la destinazione prescelta. Eppure è bastata la gara incolore di San Sebastian, per mettere in discussione la sua posizione di titolare inamovibile del centrocampo dell'Inter, un reparto che anche in virtù della presenza di Barella rappresenta un'eccellenza a livello europeo. Come se non bastasse la candidatura alla finale del Pallone d'Oro, oltre ai titoli già portati a casa da protagonista in Italia ed in Europa, c'è il coraggio di metterne in discussione continuità e attitudine. Fortuna per l'Inter che nessuno dell'ambiente nerazzurro abbia anche solo lontanamente pensato che un campione di questo calibro possa avere una collocazione differente dal ruolo di leader nel reparto più decisivo della squadra.