Eppure ho una convinzione forte. Se questa stagione avesse voluto già voltare le spalle a Stefano Pioli e a tutti i tifosi del Milan, avrebbe avuto nel tiro di Longstaff al 95' la beffa perfetta. Come il colpo di testa di Brignoli a Benevento, come altri episodi a valanga hanno martoriato le serata del popolo rossonero negli ultimi 15 anni, persino nella stagione della scudetto più bello, con il gol di Gyasi nel San Siro gelato post Covid. C'è ancora vita, c'è ancora tanto da scrivere, da fare e da disfare in quest'annata che finora ha visto solo 5 puntate, di cui le prime tre addirittura esaltanti. Ci sarà tempo, eventualmente servisse, per fasciarsi la testa: ma prima almeno bisognerà rompersela, in maniera significativa. So benissimo quanto la sensibilità dei Milanisti sia stata toccata dall'1-5 nel Derby (che 5 sono pur sempre meno di 6…), ma prima di partire con gli hashtag #PioliOut bisogna usare la testa e aprire un po' gli orizzonti.
Penso ad esempio alla "Battle of Los Angeles", la rivalità NBA tra i Los Angeles Lakers e i "cugini" dei Cllipers. Dal 2012 ad oggi, i Lakers non sono mai riusciti a chiudere una stagione in attivo contro i Clippers: 9 stagioni perdenti, 2 in pareggio e un incredibile 11-0 negli ultimi tre anni. I tifosi dei Clippers sono fioriti in città, così come le varie campagne mediatiche nelle scuole e nei vari cartelloni pubblicitari della California: tanti slogan che suonano più o meno come "Los Angeles siamo noi" e tanti spot con i vari Paul e Griffin prima, Leonard e George poi, protagonisti. Una situazione che somiglia molto, moltissimo a quella tra Milan e Inter a oggi: chi sorride a ogni scontro diretto e chi si innervosisce, perché sembra letteralmente incapace di trovare le giuste contromisure in campo. Lo sapete però il messaggio di fondo qual è? Tre. Il primo: negli anni presi in oggetto, titoli vinti dai Los Angeles Lakers = 1, titoli vinti dai Clippers = 0. La seconda: i Lakers sono un'azienda che produce soldi, che guarda al futuro e che pensa solo a sé, trovando al massimo nella storia la sua vera rivalità, vale a dire i Celtics. Terzo, il più importante: se parlate di basket e di Los Angeles, in America e nel Mondo, tutti vi parleranno dei Lakers. Di Kareem e di Magic, di Kobe e di Shaq, di LeBron e Davis. Dei 17 anelli. Ed è la cosa più importante. Anche di un 11-0 di parziale negli scontri diretti. Fate voi le vostre considerazioni e applicatele alla materia di cui parliamo come meglio credete.
Insomma, dispiace per il Derby, ma il Milan deve andare assolutamente oltre. E farlo in fretta. Verona, Cagliari e Lazio sono tre montagne altissime da scalare. In tal senso, sarà fondamentale coinvolgere al meglio chi finora si è visto poco o per nulla: il Musah visto contro il Newcastle nel finale è stato all'altezza, con sembianze Presidenziali (e avete capito tutti a cosa ci riferiamo). Chukwueze invece è stato deludente: questo Milan, al momento, sembra non poter fare a meno di Christian Pulisic e della sua mentalità, ma il nigeriano dovrà forza maggiore entrare in ritmo. Dovrà farlo anche Noah Okafor, che dopo essere entrato molto bene a Roma, è sparito dai radar: a Stefano Pioli il compito di lanciarlo, magari da 9 titolare, il prima possibile in maniera definitiva.
Chiudiamo parlando di Rafa Leao: un telespettatore ieri a "Si Cafè" (vi aspettiamo ogni pomeriggio alle 15.00), avanzava dei dubbi sulla possibilità del portoghese di diventare un crack assoluto per via dei limiti di continuità e di concentrazione. Il tacco tentato nel primo tempo contro il Newcastle ha fatto imbufalire tutti: ma non bisogna scordare mai quanto di buono ha fatto Rafa in queste ultime stagioni. E sopratutto, quanto sia cresciuto come uomo: il rischio era di ritrovarsi un nuovo Niang (come chi ne sa, profetizzava), o un nuovo Balotelli, con una vita extra-campo discutibile e poca professionalità. E invece no: Rafa è sempre tirato fisicamente, fa vita d'atleta e le sue distrazioni sono sempre nei limiti, con la musica e la moda preferiti alla discoteca e ad altri vizi. In campo, servono altri due step: Stefano Pioli per Leao è stato e resta un padre, fondamentale proprio in questa crescita. Ma da un punto di vista calcistico, serve qualcosa in più. Rafa Leao deve diventare il LeBron James di questo Milan, nonchè un fuoriclasse da storia del calcio. Per fare ciò, serve quel salto di qualità che nella mentalità i vari Sacchi, Capello, Ancelotti hanno fatto fare ai tanti giovani fuoriclasse arrivati negli ultimi 35 anni di Milan. Ed è forse veramente questo (oltre all'annoso discorso di preparazione e infortuni correlati, che prima o poi affronteremo) l'unico lecito dubbio sul futuro di Stefano Pioli al Milan, ovvero che sia arrivato al 101% di ciò che può insegnare ai singoli di una squadra che nei prossimi tre anni vuole lottare per vincere la Champions League e che in prospettiva non basti più. Ma eventualmente, queste valutazioni, le farà chi di dovere e nel momento opportuno: d'altronde, Cardinale e Furlani, hanno dimostrato di non aver paura di prendere decisioni, anche difficili.