La Juve in vendita, per ora chiacchiere. Ma non servono le smentite di facciata, cosa avrebbero dovuto dire – con un club quotato in Borsa – che era tutto corretto e vero? Quindi le smentite lasciano il tempo che trovano, quelli che ci vanno dietro sono – con rispetto – un po’ ingenui. Bisognerebbe piuttosto pensare ai danni fatti almeno nelle ultime sei-otto sessioni di mercato che il club ha pagato (e sta pagando) a caro prezzo. Talmente a caro prezzo che ha dovuto praticamente rinunciare a un’intera sessione, quella che si è conclusa da poco, per manifesta impossibilità di… spendere. Soltanto Weah, punto. Nessuno chieda altro, impossibile. Al massimo uno scambio con il coinvolgimento di Vlahovic, altrimenti nulla anche in quel caso. E siccome nessuno ha portato 50 milioni in contropartita, tanti saluti anche a Lukaku, malgrado qualcuno lo accostasse alla Juve – con titoloni ingannevoli – fino a 72 ore prima che andasse alla Roma. La domanda è una: quanti e quali buchi ci sono se la Juve – nella prima sessione di Giuntoli – deve guardare gli altri e stare alla finestra? Buchi figli di scelte scellerate, per esempio quel famoso scambio Arthur-Pjanic celebrato come un affare per via della plusvalenza, come se non si dovesse guardare dentro le cose strettamente tecniche. I mega ingaggi rifilati a tizio e a caio sono stati una sciagura, la terribile incidenza dell’ultimo anno e mezzo (almeno) di Fabio Paratici ha prodotto disastri assurdi. La Juve ha fatto di tutto pur di liberarsi di certi ingaggi, ora farà di tutto per spalmarne altri extralarge e prolungare con chi è disposto a questo tipo di operazione. Dalla prossima estate, forse, si potrà parlare di mercato in entrata con un certo criterio e senza doversi aggrappare a qualche scialuppa di salvataggio. Una notizia buona, comunque, c’è stata: confermare Vlahovic era il desiderio del popolo bianconero, alla larga da salti nel buio. Come se non bastasse la vicenda Pogba, il doping e l’ennesima notizia assurda. Non entriamo nei dettagli ma l’affare Paul è stato un disastro pazzesco: dal primo giorno in poi tra operazioni rinviate, egoismi personali, infortuni a catena, ora anche il doping. Hanno davvero spolpato la Juve. Non entriamo nei meandri, aspettiamo le controanalisi e non condanniamo a prescindere. Ma se fosse tutto confermato, se fosse stata un’iniziativa imprudente di Paul, la Juve diventerebbe assolutamente parte lesa. E stiamo parlando di un giochino da 8 milioni più 2 di bonus a stagione fino al 30 giugno 2026.
Rudi Garcia non può essere discusso, criticato o addirittura condannato per una sconfitta, sia pur dolorosa, contro la Lazio. Sarebbe delittuoso, non avrebbe senso, si tratterebbe del massimo esercizio della prevenzione verso un allenatore che ha bisogno di lavorare. Questo argomento è stato affrontato la scorsa settimana, andiamo oltre. Un nome e un cognome: Stanislav Lobotka. Per chi ha avuto il piacere di ammirarlo nei due anni della gestione Spalletti, non ci sono dubbi sul fatto che si tratti di uno dei migliori interpreti in giro per l’Europa. Traduzione: snaturarlo per provare altri metodi è un’offesa tattica senza precedenti oltre che uno svilimento tecnico davvero assurdo. Lobotka contro la Lazio sembrava quasi dovesse elemosinare un pallone, spesso scavalcato piuttosto che al centro del gioco, nel rispetto di consolidate tradizioni. Una follia piuttosto che una forzatura. Sarebbe come se un amministratore delegato fosse nominato e non ripartisse dalle certezze del suo predecessore, magari le stesse certezze che avevano consentito un eccellente fatturato. Già, proprio così: il fatturato tecnico di Lobotka era stato straordinario, indiscutibile, uno degli inattaccabili punti di forza del Napoli. Stanislav emarginato, come se fosse un due di briscola, magari di coppe quando regna bastoni. Invece dovrebbe essere l’asso pigliatutto, il principale riferimento, la luce che si accende, le geometrie che diventato ricami. Garcia ha la libertà di cambiare ciò che gli pare, è lui che ci mette la faccia. Ma anche il dovere di tutelare e rispettare Lobotka, il giocattolo che funzionava va (andrebbe) custodito gelosamente.
Reggio Calabria è la mia città, le sarò legato in eterno, proprio per questo certe cose non possono passare sottotraccia. È stata l’estate peggiore di sempre, una squadra di calcio (a Reggio si vive di pane e Reggina) passata dalla Serie B alla Serie D, le parole al vento di Saladini con quel sorrisino che riusciva a prendere in giro anche… se stesso. In poche settimane Reggio Calabria ha dovuto convivere con decisioni scellerate e figure di merda con zero precedenti. Da Brunori e Brunetti, il passo è breve, al peggio non c’è mai fine. Partiamo da Filippo Brunori di Brescia (ripetiamo: di Brescia), il commercialista di Saladini che dopo il mancato pagamento dei 750 mila euro e passa, disse: “Ci siamo presi questo rischio”, come se stesse giocando con la playstation nel salotto di casa. Magari a Brescia, la sua città natale. E in quel momento stava prendendo una decisione per la Reggina, con il Brescia alla finestra direttamente interessato. Questa è cronaca, a voi le interpretazioni. Filippo Brunori si è preso questo rischio e ha “ammazzato” una città. La stessa città che ha in Paolo Brunetti il sindaco Facente Funzioni, assolutamente inadeguato. Non parliamo della vicenda Reggina e della sua scelta, il tempo dirà, ma della vicenda Vialli. Bene, c’è un Sindaco FF che dà il patrocinio per il Memorial nel ricordo del mitico Luca che, per un motivo sconosciuto, si sarebbe dovuto svolgere al “Granillo” domenica 10 settembre. Solo alla vigilia dell’evento, poi sospeso, si scopre che Brunetti aveva concesso il patrocinio senza aver interpellato i familiari di Viali e neanche la Fondazione. Così, al buio. Il buio a Reggio. Mai come quest’estate, da Brunori e Brunetti: povera, bellissima, terra mia…
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