Pavard con panna. José adotta Lukaku. Lindstrom top. Pioli spinge per Taremi. Mancio resti dov’è fino al 2030

Siamo inguaribili italiani e quindi facciamo le cose quasi sempre all’ultimo minuto. Se il calciomercato si fosse chiuso sabato 2 settembre, e non venerdì prossimo alle 20, ci saremmo organizzati per tagliare lo striscione proprio in quella data. In una cosa gli allenatori hanno ragione: ci riduciamo al fotofinish quando potremmo anticipare qualche colpo di almeno due o tre settimane in modo da consentire loro di lavorare con una certa strategia. L’Inter ha fatto ciò che doveva: Benjamin Pavard è un eccellente difensore, è stato pagato tanto a 10 mesi dalla scadenza (oltre 30 milioni, bonus compresi) proprio perché stiamo parlando di un profilo di assoluto livello. È come aver messo la panna sulla torta. Adesso Simone Inzaghi ha l’organico completo e profondo che invocava, dopo aver archiviato la pratica Samardzic, comunque con la necessità di aspettare gli ultimi momenti delle trattative per un centrocampista se si presentasse l’occasione. Lo diciamo in generale e vale per tutti, siamo ritardatari… Le cose da seguire? Il Milan vuole un altro attaccante e farà una nuova offerta al Porto per Taremi, magari toccando quota 20 milioni, non troppo distante dalla valutazione da circa 25 che ha dato il club lusitano. Il Porto è un osso durissimo, diversi anni fa fece impazzire la Juve per Alex Sandro nella stessa situazione contrattuale prima di dare il via libera, vedremo. Lindstrom è un colpo fantastico per il Napoli, qualità al potere. Nel frattempo Petagna va a Cagliari, il Monza aspetta Colombo, Amrabat attende notizie dopo aver dato la precedenza da mesi al Manchester United nella speranza che tutto vada in porto e senza escludere altri inserimenti. La Juve? Ha scelto la strada dello stand-by, ha marcato Lukaku per poi scaricarlo, ha corteggiato Berardi senza affondare, potrebbe anche chiudere così e con un solo colpo in entrata. Diciamo “potrebbe” perché fino a venerdì metteremmo una mano e tre quarti sul fuoco, due sicuramente no.

L’estate infinita, a tratti degna di una farsa, di Romelu Lukaku finisce lunedì 28 agosto. La Roma chiude un’operazione molto importante, strappa al Chelsea il prestito secco e oneroso tra 5 e 6 milioni, circa la metà rispetto a quanto aveva pagato l’Inter e regala a Mourinho l’attaccante dei sogni. Un grande colpo, non si discute. E non discutiamo. Poche ore fa l’indiscutibile e immaginabile bagno di folla a Ciampino, il bello del calciomercato – nei secoli – è che mobilita tifosi sognatori. Avere Lukaku in squadra significa mettere in preventivo una base di almeno 15 gol, chi sostiene il contrario è in malafede. Scherzi a parte, adesso bisogna capire quando Lukaku entrerà in condizione, ha lavorato da solo e il suo fisico possente ha bisogno di carburare. Funzionerà come se la Roma tirasse fuori una Lamborghini dopo averla tenuta in garage per due o tre mesi: sarà fiammante, sarà rombante, sarà imprendibile e fornirà prestazioni straordinarie, ma quando metti in moto non puoi pretendere che faccia il vuoto. Certo, accanto a Dybala significa avere un tandem che pochissimi possono permettersi. Ma la domanda è: Paulo starà sempre bene, non ricadrà in quegli infortuni muscolari che hanno caratterizzato il suo esordio stagionale a Verona? I dubbi restano, noi auguriamo il meglio, se le cose funzionassero almeno al 60-70 la Roma giallorossa si divertirebbero non poco. Ma Lukaku merita un discorso a parte che va oltre la trattativa di mercato chiusa dai Friedkin, un discorso che coinvolge tre mesi allucinanti. Romelu ha fatto tutto al contrario rispetto a quanto avrebbe dovuto, ha messo la sincerità sotto i piedi, ha tradito l’Inter quando avrebbe potuto benissimo dire “non resto” senza giocare su più tavoli. Non contento, ha voluto dare le sue chiavi lettura che Pinocchio a Collodi avrebbe fatto una figura migliore. Lukaku sarà pure un grande attaccante, l’ultima volta l’ha dimostrato davvero con Antonio Conte al timone, ma sul resto – per carità – stendiamo un triplo (anche quadruplo) velo pietoso.

Un pensierino su Roberto Mancini si impone. Non soltanto ha avuto la faccia di vendere le sue dimissioni parlando di “motivi personali” che non ha voluto spiegare. Non soltanto ci ha sbattuto fuori dai Mondiali con un’interpretazione tattiche che neanche negli Anni Quaranta. Non soltanto ha avuto poco pudore nel non ammettere che la vittoria dell’Europa è stato un regalo dello stellone che lo assiste. Non contento, ha voluto esagerare e ha dichiarato, presentandosi al suo nuovo popolo, che “ha fatto la storia in Italia e adesso vuole fare in Arabia Saudita”. Se si fosse soffermato sul presente o sul futuro, ci avrebbe fatto una cortesia. Ma siccome vuole stravincere anche quando ha straperso, bisognerebbe ricordargli soltanto che qui non ha fatto la storia, ma semplicemente ci ha fatto piangere. Di vergogna. Il problema è molto italiano, da sempre: fino a quando ci saranno giornalisti, compreso il direttore di un quotidiano, che faranno figli e figliastri sarà inutile parlare. Siamo persi. Quei giornalisti, direttore compreso, giustificherebbero Mancini anche se perdesse con Papuasia, Vattelapesca e Roccanuccia, non c’è storia. Mancini dice di essere stato trattato come il mostro di Firenze, tirando fuori un’inopportuna situazione che appartiene a vicende (brutte) del passato, dimenticando che stiamo parlando di calcio. Se proprio dobbiamo tirare fuori una vicenda del passato, a noi viene in mente che la sua prima volta da allenatore – a Firenze – accadde quando gli permisero di andare in panchina senza patentino. Caro Mancini, lei resti in Arabia a contare i soldi (tantissimi). Noi resteremo qui a contare le ferite calcisticamente mortali che lei ci ha “regalato”. Grazie davvero, se possibile rinnovi presto fino al 2030…

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