Lo sfinimento Osimhen e le ragioni di Mou.
Bella Viola di mercato. Gravina lasci in pace la Reggina
Gianluca Scamacca non ha firmato per l’Inter, forse perché ha capito di non essere la prima scelta. Di sicuro perché l’Atalanta ha piazzato la zampata nei pressi dello striscione, con la chiara volontà di utilizzare buona parte del tesoretto incassato per la cessione di Hojlund al Manchester United. L’Inter si è buttata a pesce su Balogun, da sempre la prima scelta e comunque recente collezionista di tribuna con l’Arsenal, chiarissimo indizio che presto sarà liberato. Ma per essere liberato serve un’offerta che sia convincente. Premesso che Lukaku sta esaurendo tutte le scorte nel suo rifugio, sempre più in attesa che la Juve lo liberi e lo metta a disposizione di Allegri, stupisce il ricambio generazionale in corso proprio a Bergamo. Muriel e Zapata hanno ormai chiuso un ciclo: magari non andranno via tutti e due anche se hanno mercato (Luis è nella lista di Mourinho), però è evidente che la famiglia Percassi abbia deciso di voltare pagina. Cosa ci aspettiamo nelle prossime ore? Che il Napoli metta la parola fine alla vicenda Osimhen, è un dovere del presidente De Laurentiis farlo senza arrivare alla vigilia di Ferragosto con un rebus in corso. Siamo passati dal “va via solo per 200 milioni” al “sicuramente resta qui” per voi virare su “le sirene arabe sono insistenti”. Magari sono gli stessi che avevano mandato in circuito la famosa frase “filtra ottimismo sul rinnovo” dopo i numerosi incontri tra l’agente Calenda e De Laurentiis (qualcuno per la verità mai avvenuto e figlio della fantasia). Quel “filtra ottimismo sul rinnovo” era un modo per prendere tempo quando nessuno sapeva cosa realmente si stessero dicendo i diretti interessati. E in casi del genere sarebbe meglio un bel silenzio senza alcun tipo di previsione. Non vogliamo immaginare un Napoli senza Osimhen, tenendo conto della querelle in corso, semplicemente perché qualsiasi sostituto non sarebbe all’altezza. In tal caso non vorremmo essere nei panni di Rudi Garcia. Esattamente come siamo in quelli di Josè Mourinho perplesso come non mai per il mercato spezzettato di Pinto e per le varie operazioni saltate in attacco. Noi abbiamo una sola considerazione da fare: a pochi giorni dall’inizio del campionato Mou non ha soltanto ragione da vendere, ma molto di più.
La Fiorentina vuole organizzare un agosto di straordinario spessore per regalare a Vincenzo Italiano i rinforzi necessari per una squadra sempre più competitiva. I motori sono accesi, molto accesi, siamo arrivati al momento del raccolto. Il portiere sarà Christensen, danese in uscita dall’Hertha Berlino, operazione da 6 milioni di euro, a conferma che le voci su Grabara erano soltanto un depistaggio per andare in contropiede su un altro obiettivo. Il contropiede di domenica scorsa. Il ritorno di Castrovilli da Bournemouth per non aver superato le visite non è una notizia da tramandare ai posteri. Non soltanto perché è sfumato un discreto tesoretto (12-13 milioni) a meno di undici mesi dalla scadenza del contratto, ma anche perché ora sarà complicato trovare una soluzione. Ma la Fiorentina ha i motori accesi, aspetta che il Manchester United faccia l’offerta ideale per assicurarsi Amrabat, nel frattempo si concentra sull’attacco. Beltran è il diamante non certo grezzo per fare un investimento tecnico per il futuro, Nzola la richiesta di Italiano (ve ne abbiamo abbondantemente parlato a giugno) che lo conosce bene. Affare fatto, Nzola da Vincenzo. Una situazione che mette sia Cabral che Jovic in una situazione da “porte girevoli”, a condizione che arrivi la proposta giusta. Infatti Cabral andrà al Benfica, sorpresa da 20 milioni più 5 di bonus di lunedì pomeriggio. Ma la Fiorentina non si fermerà qui, vuole un difensore centrale importante (Martinez Quarta non è incedibile), se uscisse Amrabat andrebbe fatto un colpo in mezzo. Morale: Commisso aveva promesso a Italiano che avrebbe alzato l’asticella, sta giocando a trazione anteriore con le tre punte sul mercato, esattamente come piace all’ambizioso Vincenzo.
Gabriele Gravina ha ribadito ancora una volta, nel corso della sua intervista numero 1000, che non ha intenzione di dimettersi. Benissimo, anzi malissimo: se avesse seguito la lezione di uno dei suoi predecessori, Giancarlo Abete, lo avrebbe fatto nella stessa notte dell’umiliante eliminazione dai Mondiali, per la seconda volta consecutiva. Certo, lui ha continuato a dire che in fondo siamo i Campioni d’Europa, ma qualcuno avrebbe dovuto fargli notare un’altra cosa. Ovvero che se vinci la Champions e poi retrocedi in Serie B, appena pochi mesi dopo, tutti si ricordano dell’onta e non della prodezza antecedente. Meglio ancora: se non vai al Mondiale perché ti batte la Macedonia del Nord – con tutto il rispetto – da Campione d’Europa in carica dovresti sentirti ancora più piccolo. Invece, Gravina ha gonfiato il petto, un superego smisurato, neanche mezza riforma dopo averne promesse chissà quante nelle ore dell’umiliazione e avanti così. Gravina non si dimette perché in Italia funziona così: tutti attaccati alle poltrone, anche quando le cose vanno malissimo. Ma almeno eviti di dedicarsi alla Reggina, la lasci in pace, nessuno gli ha chiesto un parere. E troviamo spropositato (l’aggettivo sarebbe un altro, ci tratteniamo) che debba essere lui a dare un consiglio su come ripartire dalla Serie D. Gravina faccia il presidente federale e lo sta facendo malissimo (possiamo dirlo? Libertà di pensiero…) piuttosto che “passeggiare” sulla disperazione di un popolo che andrebbe rispettato dopo quanto accaduto. I tifosi della Reggina non hanno bisogno del giudizio di Gravina su come e quando ripartire, potrebbero restare anche un anno senza calcio, ma vanno lasciati “in santa pace”. Il presidente federale dovrebbe fare i fatti, qui siamo dentro un fiume di parole senza alcun tipo di profondità. Gravina decida pure di non dimettersi, resti in carica vita natural durante, ma i consigli alla categoria da assegnare alla Reggina sono uno dei punti più bassi della sua gestione. Sui famosi punti bassi, diciamo la verità, non basterebbe un pallottoliere per contarli tutti. Ma siamo Campioni d’Europa, champagne.