5,9 milioni, più 4,5 milioni, più 9,3 milioni di euro: totale 19,7 milioni di euro. Che da moltiplicare per 4, fa 78,8 milioni di euro. Il suddetto conto, abbastanza elementare da fare quanto però strategico nelle considerazioni, rappresenta il motivo per cui in casa Milan effettivamente non hanno ancora scelto in maniera definitiva come chiudere il mercato estivo 2023, anche considerando che mancano ancora 50 giorni al 1° settembre. Perché quei 78,8 milioni di euro potrebbero rappresentare – parzialmente e con mille se, che andremo a spiegare – il sorprendente extra budget (tra cartellino spalmato su 4 esercizi e ingaggio lordo) che serve a colmare le distanze tra le realtà di bilancio e i desideri tecnici di allenatore e tifosi.
5,9 milioni di euro è la quota a bilancio di Ante Rebic, fatta praticamente di solo ingaggio, visto che il croato era arrivato a zero nello scambio con André Silva. 4,5 quella di Junior Messias, che ha uno stipendio inferiore, ma ancora un parte di ammortamento di cartellino. Ma soprattutto 9,3 milioni di euro è il numero per cui pesa Charles De Ketelaere sui conti di Casa Milan. Tre giocatori su cui, per motivi diversi, la decisione sembra inevitabile e definitiva: una loro partenza rappresenterebbe ossigeno puro e un po' più di margine.
Perché c'è un mercato fatto di cash-flow (per intenderci, la monetà sonante stanziata dalla proprietà e quella ricavata dalla cessione di Tonali), quello dove il Milan ha in mano al momento un budget di tutto rispetto, intorno agli 80 milioni di euro. Ma c'è anche una parte più "tecnica" da far quadrare: quella degli ammortamenti e degli ingaggi, a cui gli americani, abituati a ragionare sul salary cap e soprattutto a non fare operazioni a debito, sono ancor più attenti.
Già qualche settimana fa, Gianluigi Longari nel suo editoriale da queste pagine ricordava come l'esigenza principale di Cardinale fosse non alzare il monte ingaggi, più ancora che spendere 5 milioni in più o in meno per un cartellino. La spiegazione è (anche) in questo.
La cessione di uno o più di quei profili, al di là di quanto potrebbe essere incassato dai loro cartellini, renderebbe più semplice il rilancio di qualche offerta non sufficiente o addirittura il miglioramento degli standard qualitativi a cui ambire. Se oggi si può spendere circa 45 milioni per l'attaccante (20 di cartellino e 6 lordi all'anno per 4 anni di ingaggio) e 50 per l'esterno (cartellino più alto e ingaggio più basso), recuperando una parte di quel tesoretto virtuale si potrebbe puntare a imbastire affari più interessanti. Meglio acquistare una punta o un esterno destro forti tra 20 giorni, che prendere il primo che passa oggi: se poi ci saranno le condizioni per fare tutto subito, il Milan si farà trovare certamente pronto, ma senza il ricatto psicologico del tempo che passa.
Le cessioni, come crocevia importante: Messias piace a Torino e Bologna e non solo, De Ketelaere nonostante tutto ha mercato in Ligue 1, Premier e Bundesliga. Rebic è il più ostico, ma l'estate e il precampionato potrebbero ammorbidire le sue idee: non giocare non piace a nessuno. Meno fuori dal progetto Origi (quota a bilancio simile al croato), che Gerrard vorrebbe in Arabia Saudita, ma che al momento sembra orientato a voler rimanere. I Milanisti sperano che agosto porti consiglio anche a lui. Non è passato inosservato il messaggio di Rafael Leao su Instagram verso l'amico e compagno Yacine Adli: a conferma che il francese viene stimato nello spogliatoio. E chissà che con il 4-3-3 anche Stefano Pioli possa riabilitarlo.
Florenzi, che a proposito di ingaggi pesanti e poca affidabilità fisica (purtroppo) pesa per ben 6 milioni di euro all'anno, al momento è ritenuto dall'allenatore e dalla società indispensabile. Sia per un motivo pressoché numerico (Kalulu viene ritenuto un centrale, come da risposta di Pioli alla mia domanda lunedì), che per un fatto di liste: con Calabria, Pobega e Colombo a coprire gli spazi dei "calciatori formati nel club" e solo Sportiello e Mirante quelli dei "formati in Italia", il Milan è già sotto nei conteggi. Ecco perché, nel ruolo di vice Theo Hernandez e in quello di terzino, avere la formazione nazionale può essere l'arma vincente.
Anche se, non essendo nè abituati nè desiderosi di chiudere affari con "pagherò" e favori reciproci per aiutarsi, trovare il profilo giusto nel nostro calcio potrebbe rivelarsi più difficile che scovare un prospetto molto più interessante tecnicamente all'estero. Storture di un calcio autoreferenziale che non ha ancora capito come crescere. O forse, fin quando tutti mangeranno lo stesso, pur non sapendo esattamente come, non è interessato a farlo.