Nel consueto editoriale del mercoledì per Sportitalia.com, l’esperto di mercato Alfredo Pedullà fa il punto della situazione in chiave sessione dei trasferimenti.
Abbiamo espresso un giudizio sul Napoli (“si è rotto il giocattolo”) e si è scatenato l’inferno neanche avessimo offeso chissà chi. Meglio così, andiamo avanti per la nostra strada, la libertà non ha prezzo. Ribadiamo il concetto e ringraziamo quelli che (compresi molti tifosi del Napoli) hanno afferrato il concetto al volo e lo hanno apprezzato: quando hai un allenatore e un direttore sportivo che hanno appena vinto lo Scudetto e non riparti da loro, il giocattolo si è rotto. Punto. Poi arriverà Rudi Garcia e conquisterà la Champions più altri due scudetti, ma questo è un altro paio di maniche. Il discorso non è piaciuto a chi fa del provincialismo il suo cavallo di battaglia, a chi l’estate scorsa aveva tolto la pelle a De Laurentiis per strategie assurde e poi è salito sul carro. E anche a chi farebbe (condizionale d’obbligo) parte della categoria dei giornalisti, eppure vive di illazioni e offese gratuite che meriterebbero un intervento dall’alto. Sorvolando invece sul tizio mille pollici che aveva visto Cavani all’hotel Vesuvio, che aveva bocciato Rrahmani e Lobotka ritenendoli pacchi di mercato, che aveva considerato Giuntoli un incapace al punto da dover essere sollevato dall’incarico. Lo stesso tizio che, prima di andare in onda, saccheggia sul web frasi esemplari di poeti, filosofi, attori, santi e navigatori per adattarle al suo editoriale. Che spettacolo, ma allora Lobotka non era così scarso? Napoli e il Napoli devono essere amati da chi sa ragionare con il cervello, non soltanto con il sentimento. E anche da chi non ha mai fatto una critica, chissà perché. Utilizzare la testa prima di parlare: c’era un grande giocattolo, è stato sfasciato. Nulla contro Rudi Garcia, allenatore che in un recente passato ha dimostrato di avere idee di calcio apprezzabilissime. Ma una sola domanda: se fosse stato una delle prime scelte, non sarebbe stato giusto anticipare di qualche settimana in modo da non farlo diventare quasi un riempitivo? Gli auguriamo un grande lavoro, a patto che abbia libertà sul mercato, che non ci siano sergenti alle costole come il suo mitico omonimo alleato di Zorro.
Roberto Mancini non ha pudore. Dopo l’ennesima prestazione inguardabile della nostra Nazionale contro la Spagna, un classico su questi schermo, ha continuato a parlare come se avesse appena vinto una dozzina di coppe negli ultimi due o tre anni. Lasciamo perdere la vittoria con buona prestazione contro l’Olanda: dopo tutto quello che è accaduto non ci facciamo prendere dai trionfalismi di chi ha commentato come se avessimo vinto la Coppa Rimet. Dopo la Spagna, ovviamente chi era dentro il campo a porgli le domande, ha tenuto il microfono come potrebbe fare – con tutto il rispetto – qualsiasi cameraman o assistente di studio. Facciamo piuttosto una bella cosa: la prossima volta Mancini potrebbe andare ruota libera, senza domande, argomento a piacere come accadeva una volta a scuola e tutti eravamo felici di non dover rispondere ai terribili – imprevedibili – del professore di turno. Poi ha detto una cosa incomprensibile “per fortuna il Napoli ha scelto l’allenatore”, ulteriore passaggio che sintetizza una confusione enorme, c’è poco da fare battute. Mancini continua a ripetere che avrebbe meritato di andare al Mondiale, lo sostiene soltanto lui dalle Alpi alle Piramidi. La meritocrazia del campionato non esiste più, altrimenti Casale avrebbe avuto mezza chance e Zaccagni non sarebbe stato lasciato a casa dopo il ripescaggio a seguito della punizione. Quindi, sarebbe il caso di mettersi d’accordo su una cosa: se le sentenze nitide di 38 giornate non hanno motivo di esistere, meglio fare le convocazioni con i bussolotti. A meno che, dopo la vittoria sull’Olanda, il trionfalismo – come temiamo – non abbia il sopravvento sulla cose più logiche (spesso molto trascurate) di questo mondo.
La storia di Sergej Milinkovic-Savic è abbastanza semplice. Ha un contratto in scadenza tra poco più di un anno con la Lazio e non intende rinnovarlo. Lo scorso inverno, era novembre, si materializzò la Juve raggiungendo un accordo di massima con il suo agente Kezman per l’estate che ormai è alle porte. Milinkovic-Savic avrebbe rinnovato soltanto se ci fosse stata una clausola non superiore ai 50 milioni, ma la Lazio non avrebbe accettato una situazione del genere. La Juve da quel momento ha avuto problemi di ogni tipo, ma non ha smesso di pensare a SMS. E ha ripreso a pensarci nelle ultime settimane, incassando il gradimento del diretto interessato. Ci sarebbe anche l’Inter che,però, ha dato la precedenza a Frattesi non volendo andare a trattative infinite e sfiancanti con Lotito. La Juve confida nel rinnovo di Rabiot, ma continua a pensare a Milinkovic-Savic. La cifra? Non i più i 40 che la Lazio chiedeva fino a un paio di mesi fa, forse neanche 35. Meglio ancora: si potrebbe andare a dama con 30 milioni più bonus, possibilmente inserire nel pacchetto altre trattative (Pellegrini in testa) che Lotito vorrebbe staccate dal discorso relativo al Sergente. Un SMS per la Juve, bisogna ancora lavorarci ma non sarebbe certo una sorpresa.
L’impresa del Lecco è stupenda e merita una citazione. L’assoluta conferma che i playoff di Serie C sono il campionato più difficile del mondo, fanno storia a sé. È molto più semplice pescare un numero tra 90 con la benda agli occhi oppure entrare nella cruna di un ago. Ci sono club che spendono e spandono, fanno proclami uno dietro l’altro e poi restano con due o tre pugni di bruscolini in mano. Ci vengono due nomi dell’ultimo giro di carte, il Cesena e il Crotone in rigoroso ordine alfabetico. La cosa più offensiva che si potrebbe dire del Lecco è considerarla una favola, come si faceva del Chievo quando si avevano idee poco chiare e veniva ignorato un incredibile lavoro. Già, il lavoro va oltre le favole. E il Lecco ha saputo guadagnarsi la ribalta con una semina incredibile, partita quando il patron Di Nunno aveva deciso di rilevare il club promettendo una scalata che avrebbe portato al professionismo. Gli avevano dato del visionario, mentre i suoi colleghi spendevano e spandevano il doppio o il triplo per restare sempre all’asciutto. Le favole sono quelle di chi sperperano un patrimonio e poi non raccolgono neanche il 10 per cento di quanto investono. Dovremmo parlare di Luciano Foschi che in panchina era così ruspante e sul pezzo da dare una bella lezione indiretta a tutti quei professorini che pensano di aver inventato il calcio. Questo è il calcio che ci piace, non scritto a tavolino ma che si sviluppa in base a un pallone che rotola, a un’idea migliore, a un gruppo più affiatato. Checco Lepore è il manifesto a colori: anni 36, uno spettacolo in campo con magie di ogni tipo, un pieno di umanità fuori con quelle lacrime per ricordare il papà che non c’è più e la mamma che non sta bene. Lecco, che bello è…
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