Silvio Berlusconi è, resta e sarà il Milan. Per sempre. La magia in quasi trent’anni di presidenza, il mondo conquistato, gli acquisti roboanti, la passione irrefrenabile, gli elicotteri che planavano. Un mondo sfavillante, di fatti e non parole. Evitiamo di ripercorrere e di elencare tutto quello che ha vinto: ne sono pieni giornali, siti, contenitori televisivi e radiofonici. È più bello, affascinante, ricordare che il suo Milan probabilmente sarà imbattibile perché ha saputo coniugare l’amore enorme con investimenti figli dello stesso sentimento. Lasciamo agli altri i commenti sull’imprenditore e sul politico, non sono di nostra competenza o pertinenza. Il Milan, soltanto il Milan. Uno di quei presidenti che oggi non esistono più, tra fondi e affaristi, tra ciarlatani nati, magari parenti stretti di gente incapace di capire la differenza tra vacue parole e fatti. Silvio ha fatto del Milan un modello capace di incantare il mondo, ha aperto la cassaforte e l’ha lasciata spalancata, ha convinto grandi campioni a indossare il rossonero, ha scoperto – lui e il suo gruppo di lavoro – talenti che poi sono diventati fenomeni. Quando ha preso Sacchi, gli avevano detto “sei matto”. Quando ha convinto Capello, avevano sentenziato – ignari – che era stato scelto un signorsì incapace di fare l’allenatore. Ma le sue intuizioni erano geniali, il suo “bel giuoco” andava tutelato, a costo di essere apparentemente impopolare, presto sarebbe stato un trionfo delle idee e degli investimenti. Tra 20 o 30 anni non servirà spendere altri aggettivi su Berlusconi, basterà mettere un impolverato vhs trasformato in tecnologia moderna per capire cosa è stato il Milan con lui. E cosa è stato lui per il Milan, irripetibile – eterna – magia nei secoli.
Il vento d’Arabia spira forte su chiunque, semplicemente perché ci sono pacchi infiniti di soldi e la tentazione non è da sottovalutare. Benzema ci è cascato e ha dato le sue motivazioni: non è giusto fare i moralisti, ognuno può decidere come gli pare a patto che – ci faccia soltanto questa cortesia – non parli di scelta di vita e menate varie. Messi ha voluto prendere un’altra tangenziale, destinazione Miami, e ha anche spiegato che non avrebbe voluto far passare il concetto che sarebbe stata solo una questione di soldi. A Miami guadagnerà di meno, ammesso e non concesso che per lui sia un problema di conto in banca, ammesso e non concesso che gli sponsor in quantità industriale non possano pareggiare e magari superiore qualsiasi ingaggio ritenuto non congruo. Il vento d’Arabia soffierebbe anche su Massimiliano Allegri, se non fosse che la sua volontà sarebbe quello di restare alla Juve. Speriamo che non dica un giorno che per restare alla Juve ha rifiutato l’Arabia, come aveva detto no al Real e chissà a quali altri club sulla faccia della terra. Allegri sa che andare dall’altra parte del mondo ad allenare, non essendo un 75enne mezzo rincoglionito, porterebbe solo svantaggi. Non escludiamo che stia avvertendo troppo la pressione di continuare in sella alla Juve, soprattutto ha capito che il suo popolo – almeno l’80 per cento – non vede l’ora che tagli la corda. E quando diciamo “almeno l’80 per cento” ci teniamo bassi. Un giorno magari ci faranno vedere il film “Allegri e il vento d’Arabia”.
Ci sono presidenti che per giustificare i loro fallimenti calcistici si arrampicano su presunti problemi degli altri in modo da rinascere per grazie ricevuta. Il plotoncino è capeggiato da Massimo Cellino, ma comprende i vari Santopadre, Tacopina, Corrado e tutti quelli che hanno sparso veleno nei riguardi della Reggina. La motivazione era che un rapporto stabilito con un Tribunale era considerato una fake news, come se un Tribunale non fosse una costola dello Stato. La Reggina ha lavorato per mesi e mesi, tra l’altro il debito apparteneva alla precedente gestione societaria, e lunedì mattina ha incassato la famosa omologa. Un passaggio atteso, invocato, per provvedere nel giro di una settimana all’iscrizione al prossimo campionato di Serie B. Cellino ha ritenuto opportuno mandare un suo rappresentante legale per osservare da vicino, nel frattempo i suoi tifosi che gli vogliono bene gli hanno dedicato striscioni non troppo amichevoli. Logica conseguenza di una gestione, quella del Brescia fresco di retrocessione in Serie C, che definirla fallimentare – stavolta è il termine giusto – rappresenta quasi un eufemismo. Il vero Cellino, quello di Cagliari con idee geniali, è sparito nella nebbia. La sua esperienza con il Leeds non va commentata, basterebbe rivolgersi ai tifosi di quel club. Tornando in Italia, ha pensato di poter improvvisare mettendosi tutti contro, esonerando allenatori su allenatori, coinvolgendo direttori sportivi (Marroccu è un nome) che hanno amplificato il problema. Cellino è lo stesso che ha dichiarato di aver bruciato – da presidente pro tempore di Lega – un faldone con fideiussioni false relative all’iscrizione di alcuni club. Bene, anzi malissimo, nessuno gli ha chiesto spiegazioni come se la prescrizione fosse un valido motivo. Adesso a Cellino non resta una sola cosa: si faccia più in là. Nel frattempo il Ministro Abodi parla del caso Reggina: suvvia, se ne faccia una ragione. Ci sono tante, troppe, cose irrisolte nel calcio italiano: quando avranno inizio i lavori? La parola “riforma” gli ricorda qualcosa? Soprattutto: perché non hanno avuto inizio? Parole, soltanto parole…