Simone Inzaghi è diventato grande. Forse lo era già. Oppure siamo noi che cambiamo idea a seconda dei risultati. Vince? Evviva Inzaghi, bravissimo. Perde? Povero fesso, fuori dalle balle. Funziona sempre così. Fatto sta che nella conferenza stampa pre Inter-Milan il tecnico dei nerazzurri ha mostrato i denti e sono parsi ben affilati.
Questa sera l’allenatore più massacrato della stagione 22-23 (sì, anche più di Allegri) si gioca un pezzo di storia e lo fa grazie al suo lavoro che c’è e si vede. L’Inter arriva all’appuntamento con il destino in condizione eccellente, sia fisica che mentale. E questo è indubbiamente un merito del tecnico e del suo staff. Oh, questi signori hanno giocato 9 partite nel solo mese di aprile, una più complicata dell’altra, e sono anche uno dei gruppi più anzianotti d’Europa, eppure…
Eppure aver convinto la rosa che giocare meno avrebbe migliorato le prestazioni di tutti (e quindi dell’Inter stessa) è stata la vera arma vincente del tecnico piacentino, bravissimo a ruotare tutto il ruotabile, bravissimo a tapparsi le orecchie nelle settimane del “bisogna mandarlo via” detto dagli stessi che ora “beh, mica male questo Inzaghi”, che poi in caso di crollo non ci metteranno mezzo secondo per spedirlo all’inferno.
Perché sì, è vero, l’Inter questa sera parte con un bel vantaggio, ma darla per sicura qualificata significa far finta di non sapere cosa sia una partita di Champions. Anche contro questo Milan.
E passiamo al Diavolo. Son tutti lì a fare il funerale a Pioli e compagnia. E in effetti le cose non vanno. Ma, attenzione. Esistono “due Milan”: quello senza Leao (meno di un punto di media a partita) e quello con Leao (oltre due punti di media a partita). Questa sera, in quella che è chiaramente la sfida dell’anno, il portoghese ci sarà e può essere la vera discriminante tra una “non semifinale” e l’effetto Alessandro Borghese (può ribbbaltare i pronostici). Poi, ovvio, servono anche gli altri, apparsi parecchio opachi nelle ultime uscite.
Ecco, tanti se la prendono con Pioli ma la differenza con il collega nerazzurro è tutta qui: mentre quest’ultimo ha scelto di dividere lo sforzo tra tutti i suoi giocatori ed è stato premiato, quello rossonero ha fatto lo stesso ottenendo risultati insufficienti. È mancato il mercato, insomma, soprattutto se si pensa che al Milan, perso Ibra, sarebbe certamente servita maggiore esperienza.
E allora? È tutto finito? Non giochiamo neppure? Macché, un match in Europa dura un’eternità, chi pensa che sia tutto già deciso ha semplicemente perso in partenza.
Quattro balle in amicizia.
La prima riguarda Pogba, polpo dai mille problemi. Prima il menisco e i guai familiari, poi la lentissima ripresa e, domenica, il nuovo infortunio. La stagione più disgraziata della carriera del campione del mondo termina con questa nuova prognosi di 20 giorni. In bocca al lupo a lui che nel frattempo può consolarsi con lo stipendio: otto milioni di euro netti (poco meno di 11 lordi) più bonus per quattro anni. Al momento trattasi di 65mila euro per ogni minuto giocato quest’anno (161 totali in sole undici presenze). C’è della sfortuna, ma forse anche della cattiva programmazione.
La seconda riguarda una domanda che è girata l’altra sera: “Chi è in questo momento il migliore allenatore italiano… con Ancelotti fuori concorso?”. Ognuno ha la sua legittima risposta, quella del sottoscritto parte da un presupposto: più che basarsi sulle vittorie tocca capire chi ha una “visione”. E allora Spalletti (maturo nella carta d’identità e giovanissimo nelle idee), Inzaghi (chi non vede il gioco dell’Inter ha un problema che è suo e solo suo), De Zerbi (al momento inarrivabile quanto a capacità di “produrre calcio”) e pure Palladino (in panca da pochissimo ma chiaramente “illuminato”).
La terza riguarda la faccenda “giocatori a rapporto dagli ultrà”. Capita di tanto in tanto, è capitata pure l’altro giorno con il Milan. Nel caso specifico si è trattato di “motivare la squadra” in vista della partita di questa sera e non c’è nulla di male. Al limite è l’immagine che ha poco senso, quella di un “capo-tifoso” che parla e di giocatori (+ allenatore) che ascoltano in silenzio e, francamente, sembrano più “costretti” che “convinti”.
La quarta riguarda gli euro-risultati tricolori e la riassumiamo così: se le nostre squadre arriveranno in fondo e, magari, alzeranno un trofeo, sarà un merito delle stesse e di nessun altro. Abbiamo 5 club in semifinale non “grazie” al calcio italiano, semmai “nonostante” i nostri limiti sistemici. È bene ricordarlo, altrimenti finisce che ci convinciamo di essere diventati bravi e abbandoniamo ogni idea di restauro.
E poi stop. Buon derby milanese a tutti.
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