Un derby da godere. Leao, maledetto destino. Doveri e gli errori gravi. La Lazio e il gemello brutto di SMS

Il destino si diverte, molto spesso è bastardo. Prendete la storia di Rafael Leao: entra in qualsiasi turnover, talvolta in modo inopinato e a sette giorni da un evento Champions (leggi Milan-Cremonese di mercoledì scorso); quando non accade e va in campo da titolare, succede il patatrac. Perché Pioli decide di non risparmiarlo, a quattro giorni dalla semifinale Champions, e viene schiaffeggiato dal fato. Già, perché Leo si fa male dopo 10 minuti contro la Lazio, nulla di grave ma qualcosa di molto delicato come il problema agli adduttori. Morale: rischiarlo non avrebbe senso, vedremo nelle prossime ore, meglio provare a recuperarlo per la partita di ritorno tra meno di una settimana. Il destino non puoi sfidarlo, non puoi stuzzicarlo perché poi si diverte lui. Leao per il Milan è indispensabile quanto un bagno in piscina di un’ora ai 50 gradi di agosto, ma è ancora più indispensabile non scherzare con il fuoco visto che siamo nella fase decisiva della stagione. Adesso che la storia del contratto è quasi ai titoli di coda, vanno sottolineati gli aspetti strapositivi di un rinnovo dietro l’angolo e la coerenza di un ragazzo che ha centellinato le parole mantenendo un atteggiamento iper professionale. Si fa così, dovrebbero in tanti prendere esempio da Leao. Adesso godiamoci il derby, mantenendo le distanze da chi non sa gioire per una semifinale di Champions che mancava da una vita. Dinanzi a eventi del genere, bisogna soltanto riconoscere oppure stare in silenzio. Non è importante dire che l’Inter arrivi in vantaggio nei pronostici, lo sosterrebbe persino un bambino di tre anni, semplicemente perché partite così hanno una chimica diversa e un condizionamento psicologico che può cambiare dieci volte nel giro di mezz’ora. Inzaghi ha fatto una cosa nelle ultime settimane che avrebbe dovuto fare anche Pioli: ha giocato in campionato sempre con i migliori, al massimo ha cambiato due o tre pedine negli undici mantenendo la competitività della formazione, una scelta assolutamente condivisibile. Adesso Inzaghi potrà vivere questi giorni nella speranza che qualche quotidiano non pubblichi, a 24 ore da una partita, i nomi dei quattro o cinque candidati alla sua eredità tecnica. Già, perché sono quattro o cinque, a conferma che la notizia non c’è, quindi avrebbero dovuto e dovrebbero lasciarlo in pace. Così come andrebbero lasciati in pace Maldini e Massara sulla storia di De Ketelaere e di un acquisto senza il 5 per cento di resa. Ormai è un discorso vacuo, inutile e logorroico. C’è il derby di Champions tra poche ore, godiamocelo e mandiamo a quel paese qualsiasi altro ragionamento senza un senso.

Poche righe su Daniele Doveri e su quanto accaduto a Bergamo con Dusan Vlahovic. Qui non c’entrano le qualità dell’arbitro che riteniamo uno dei migliori – se non il migliore – in circolazione all’interno di una valle di lacrime. Il problema non è quello di giudicarlo tecnicamente perché spesso fa bene e se fossero quasi tutti come lui i problemi diminuirebbero. Il problema è che, quando si ripete una vicenda come quella che ha coinvolto Vlahovic con i cori razzisti e le solite porcherie, bisognerebbe avere una doppia sensibilità. La prima: non ammonire Vlahovic per alcun motivo al mondo perché non esiste situazione peggiore di chi ti avvilisce con quei cori. La seconda: più che parlare della procedura rispettata in situazioni del genere (lo speaker che avverte eccetera eccetera) bisognerebbe avere la strafottenza di andare oltre, alla faccia del protocollo. E quindi di sospendere la partita a costo di bypassare un regolamento che andrebbe modificato da anni. Non esiste lo speaker che avverte, avverte e avverte, bisogna ignorarlo, tagliare corto e portare le squadre nello spogliatoio senza alcun margine di manovra. Andrebbe evitata anche la patetica situazione di Gravina che interverrebbe, cancellando l’ammonizione, nel caso in cui il cartellino giallo di Vlahovic portasse alla squalifica, concedendo la grazie come ha fatto con Lukaku. Basterebbe poco, pochissimo, per non fare collezione di bla-bla su un argomento così importante. Hanno chiuso la curva dell’Atalanta, ma non basta in assenza di una procedura molto più rigida e severa.

Non c’è cosa peggiore che promettere sui social. A maggior ragione quando non si riesce a “parlare” sul campo. Sergej Milinkovic-Savic è la prova provata di questo discorso: in campo passeggia, vive di colpi di tacco e cose leziose del genere, lascia spesso la Lazio in dieci, svagato come se fosse un normale centrocampista. È stato a lungo il valore aggiunto della Lazio, glielo abbiamo riconosciuto e lo abbiamo esaltato, ma bisogna incassare le critiche esattamente come prendere atto degli elogi. Fuori dal campo SMS dà fiato alle trombe, parla di quattro finali, in pratica è un addio anticipato. Strani discorsi: c’è sempre la possibilità di dimostrare con i fatti, invece ci si affida alle chiacchiere che i tifosi – giustamente – prendono con il beneficio di inventario. Nessuno discute quanto SMS abbia dato alla Lazio nel corso degli anni, ma siccome non si vive di amarcord oppure di filmati da mandare in onda per rifarti la bocca, sarebbe il caso di parlare con i fatti. Quella che tra poco andrà in archivio è stata la peggiore stagione di Milinkovic-Savic da quando è alla Lazio: un buon avvio, l’ansia da Mondiale che ne hanno condizionato i mesi antecedenti e quelli successivi, una recita in Qatar non proprio da tramandare ai posteri e un ritorno in Serie A quasi indecente. Qualche lampo (i gol rifilati a Milan, Monza e Juve) ma anche la fotografia di sabato scorso quando Theo Hernandez se ne va a spasso sulla corsia mancina, SMS lo rincorre, lo rincorre, lo rincorre e non si degna di fare qualcosa per fermarlo, fino a quando il ragazzo francese non la mette sotto l’incrocio. Pigrizia, quella di SMS, come gli insignificanti colpi di tacco. Nessuno offende Milinkovic-Savic, ma è l’evidenza dei fatti: ne prenda atto il suo agente Kezman che utilizza parole forti – offensive e senza un contraddittorio – piuttosto che fare un minimo di autocritica. Se la Lazio dovesse raggiungere la qualificazione in Champions con il peggior Milinkovic-Savic, sarebbe un ulteriore fiore all’occhiello. Sulla valutazione di mercato, inutile sparare 50-60-70 milioni: non soltanto perché il contratto in scadenza tra poco più di un anno non giustificherebbe simile valutazione, ma anche e soprattutto perché le prestazioni recenti influiscono non poco su un discorso del genere. Se SMS tornasse quello di sempre, il discorso sarebbe diverso. Ma l’ultimo SMS sembra il gemello (che non gioca a calcio) di quello che faceva la differenza con le sue inimitabili magie.

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