“Juventus, abbiamo un problema”. Mutuando la celeberrima frase pronunciata da Jack Swigert, è possibile descrivere in maniera abbastanza esplicito il momento che sta suo malgrado vivendo la squadra bianconera. Una situazione confusionaria, riassunta in maniera eloquente dalle dichiarazioni di Allegri nel post partita della sconfitta patita in Coppa Italia contro l’Inter. Giudicare come “buona” quel genere di prestazione può generalmente dare luogo ad un paio di reazioni, non certamente accomodanti da parte di chi, come parte in causa, è costretto ad ascoltarle.
La prima: lo stupore per come si possa pensare che anche solo uno degli uditori voglia condividere tale impressioni senza sentirsi lecitamente preso in giro.
La seconda: il nervosismo per il senso di impunità percepito dal tecnico in questa fase della sua avventura bianconera. Come se tutto possa realmente andare bene così, come se non ci possano essere conseguenze a ciò che la sua squadra non sta esprimendo dal momento stesso in cui Allegri è tornato a guidarla dalla panchina.
Attenzione però, perché al di là delle oggettive difficoltà di programmazione consecutive alla situazione processuale della Juventus, l’estate potrebbe portare sorprese anche piuttosto rilevanti a livello di organigramma. C’è una rivoluzione silenziosa in atto, e non è affatto escluso che con una guida dirigenziale diversa rispetto a quella attuale in relazione alle tematiche calcistiche, anche la posizione del tecnico possa essere oggetto di valutazioni. L’evoluzione del mondo del calcio non permette a livello anzitutto economico il “non gioco”, e da questo punto di vista la gestione Allegri ne è la testimonianza più lampante: trovare un giocatore che possa definirsi, o che lo sia stato effettivamente, valorizzato dalla sua gestione è impresa impossibile.
Chi impunito non lo è stato di certo, ma piuttosto ha subìto una gogna mediatica inspiegabile senza averne la minima responsabilità, è Simone Inzaghi. Ai critici più feroci, è bene ricordare che quella di quest’anno è la nona semifinale di Coppa dei Campioni/Champions League da quando l’Inter esiste. Una storia che consta di 115 anni compiuti un paio di mesi fa. La proporzione tra chi è riuscito a centrarla e chi invece non ce l’ha fatta, parla in maniera sufficientemente eloquente, per tacere di quello che potrebbe accadere in seguito.
Se tutto ciò non fosse sufficiente, è altrettanto opportuno ricordare che l’eliminazione della Juventus nella recente semifinale di Coppa Italia è stata la prima (sì, la prima) dell’intera storia dei nerazzurri che invece avevano messo in fila 5 eliminazioni in tutte le altre volte che avevano incrociato i bianconeri allo stesso punto della competizione.
Senza contare il capitolo relativo alle finali, con una parabola che lo stesso Inzaghi ha contribuito a scrivere la passata stagione con il doppio successo in Supercoppa Italiana prima ed in Coppa Italia poi. Una sorte toccata anche al Milan nella semifinale della Coppa nazionale e nella Supercoppa successiva disputata in Arabia Saudita. Insomma un pedigree di pura eccellenza in questo tipo di contesti da “dentro o fuori” che sta a tutti gli effetti cambiando la storia dell’Inter in relazione alle sue due rivali storiche.
Mettere in discussione risultati di questo genere ha poco senso, e lascia la sensazione che se di separazione si tratterà a fine stagione, un ruolino di cui sopra potrebbe tramutarsi in un rimpianto piuttosto doloroso in futuro. L’unico aspetto del tutto inaccettabile è il messaggio secondo il quale l’Inter dovrebbe privilegiare la rincorsa al quarto posto (peraltro ancora ampiamente alla portata) rispetto all’inseguimento dell’apparentemente impossibile sogno di un’affermazione continentale. Il tutto in funzione della solidità economica della proprietà. Se non si è in grado di supportare una dirigenza, un allenatore ed una squadra che raggiungono questo tipo di obiettivi indirizzandoli a scegliere la via più pratica anziché quella dell’impresa, significa che il momento di passare la mano non è più demandabile.
Parlando di imprese non ci si può che relazionare con quella del Napoli trionfatore assoluto della Serie A. Al di là delle tempistiche con cui verrà festeggiato il tricolore, è opportuno sottolineare la programmazione ed il lavoro di mister Spalletti e dell’architetto Cristiano Giuntoli. Quest’ultimo è più corteggiato che mai, ed anche in apertura facevamo riferimento ad una Juventus che sta impostando una rivoluzione da quel punto di vista. Ad ogni modo lo stesso Giuntoli vive, ragiona e si nutre di calcio. Con una mentalità di questo genere è inevitabile che la programmazione proceda a ritmo regolare e quasi spontaneo, ed allora attenzione al profilo di Gabri Veiga del Celta Vigo. Giuntoli in Galizia è di casa, visto che da lì ha portato a Napoli Lobotka e visto che i suoi viaggi per visionare questo trequartista classe 2002 sono sempre più frequenti. I costi per l’operazione sono alti, ma il ragazzo piace parecchio.
In chiusura, un passaggio sulla telenovela Leao. Più che altro rivolto a Jorge Mendes, che non essendo coinvolto nella trattativa per il rinnovo di contratto con il Milan sta cercando di prospettare offerte e proposte da mezza Europa. Così si spiegano le voci relative a Chelsea, Real Madrid e chi più ne ha più ne metta. Rafael Leao vuole il Milan ed i dialoghi procedono in questo senso, anche al netto di alcuni aspetti da limare e sistemare, soprattutto in relazione alle pendenze economiche con lo Sporting Lisbona. La fiducia resta intatta, e per dirla alla Maldini: “Chi voleva firmare ha firmato”.
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