La settimana Santa del pallone italiano, il diritto alla Champions, i pensieri micidiali di Inter-Milan-Napoli, la frustrazione di un tifoso. E una cosa su Maignan

Bene. Che settimana. Accadrà di tutto. È il festival di Sanremo del calcio italiano. Ci sono le coppe. Le italiane ringalluzzite. Le sentenze. I derby tricolori. Qualunque cosa. E vivremo tutto con la consueta serenità, pacatezza, calma. Certo, come no.

Con tutto il rispetto, voglio dire subito una cosa: di grazia, la Champions conta di più di un quarto posto. E lo so perfettamente che questa cosa non potrà trovare d’accordo nessun dirigente assennato, lo so che i quattrini del coppone fanno tutta la differenza del mondo ma, porca miseria, qui fino a prova contraria parliamo di calcio, non di bilanci (esatto, fino a prova contraria).

Secondo la logica imposta dal sistema dovremmo fare di tutto per qualificarci a una coppa che, però, non è il nostro obiettivo principale, perché l’obiettivo principale è qualificarci per una coppa dalla quale vogliamo uscire, per qualificarci a una coppa che non ci interessa, perché dobbiamo pensare a qualificarci a quella stessa coppa e… ci siamo capiti.

Ma, dico io, la nostra priorità – quella di noi tifosi – può essere il conto in banca dei club? Già ci tocca ragionare sulle finanze delle nostre famiglie, dobbiamo anche far quadrare quelle delle nostre squadre o possiamo sognare un’imprevedibile godimento europeo?

Parliamoci chiaro, quest’anno ci sono tre italiane che possono legittimamente puntare all’atto finale della Champions e questa cosa non ricapiterà tanto presto. Pensare di dover accantonare questo sogno per ubbidire alla legge del calcio moderno (primo comandamento: quarto posto) è francamente frustrante.

Tutto questo per dire cosa? Che il qui presente comprende il turnover di Pioli, quello di Inzaghi e in qualche modo comprende anche la fisiologica e naturale predisposizione dei giocatori a dare di più laddove risuona l’Euro-musichetta.

“Sono professionisti, devono riuscire a fare tutto”. E questo è vero, ma è anche vero che questa è una stagione senza senso, quella con nove partite in un mese e nove partite in un mese sono un massacro, c’è poco da fare. E se il cervello deve scegliere… Sceglie la Champions. E allora sì, il qui presente prova in qualche modo a godersi il momento e veste i panni della cicala. “Pensa all’inverno! Fai la formichina!”. No, son troppi anni che pensiamo all’inverno e comunque continuiamo a soffrire un freddo bestiale, ora che è uscito un raggio di sole – di grazia – lasciatecelo godere fino in fondo.

Fine dello sfogo.

Una cosa sulla porta del Milan. Anzi, sull’incredibile storia della porta del Milan. L’incredibile storia della porta del Milan inizia qualche anno fa, quando un certo Sinisa Mihajlovic decide di far esordire un ragazzino parecchio alto e con la faccia da lattante. Si chiama Gianluigi Donnarumma e ha 16 anni. Grande idea di Sinisa che scova un predestinato. E, infatti, quello lì diventa titolare, mette insieme prestazioni su prestazioni, alterna cose ottime a qualche boiata ma, in generale, attira l’attenzione di tutti, persino quella del Ct della Nazionale, persino quella degli sceicchi.

A Parigi lo vogliono e se ne fottono se quello nel frattempo è diventato capitano dei rossoneri, in fondo basta alzare l’offertona. Noi romanticoni del calcio – più fessi che romanticoni – pensiamo “ma figurati se dice addio al Milan e figurati se fa scadere il contratto”. Così accade, Gigione va a mangiare la baguette e lascia il Diavolo a secco. Che smacco. Nel frattempo Paolo Maldini mette una pezza e pesca dal Lille tale Mike Maignan, sconosciuto ai più. Sì, ha vinto un campionato in Francia, ma non sarà mai all’altezza del uso predecessore. Ebbene, da quel momento sono passati neppure due anni: Gigione è diventato discusso titolare di una squadra satura di grandi giocatori ma con pochissimo cuore; quell’altro, Mike, vola da una parte all’altra della porta come un grillo campagnolo ed è diventato più forte di chi l’ha preceduto. Anzi, è diventato più forte di tutti. Come è strano, a volte, il destino.

E poi c’è l’Inter. E siccome toccherebbe scrivere le solite stucchevolissime cose (l’attacco che non va, l’allenatore in bilico, il doppio volto Europa-Campionato), il qui presente preferisce incollare qua sotto un gran bel pezzo che il signor Marco Battista, avvocato di Bari, ha inoltrato via mail nella giornata di domenica, post sconfitta dei nerazzurri con il Monza. Lo trovo bellissimo:

“Premessa: chi vi scrive non ha fatto uso di alcool prima di questo articolo, ma prova a descrivere la pura realtà dei giorni a dir poco folli del mondo Inter. Quando un interista abituato a periodici avvenimenti metafisici nella sua storia si stupisce di fronte a cotanta pazzia la questione è seria, molto. L’Inter incassa l’ennesima sconfitta (la terza consecutiva tra le mura amiche) e riesce nell’impresa di perdere altro terreno dal Milan, bloccato sul pari a Bologna qualche ora prima. La partecipazione alla prossima Champions è sempre più in bilico; la partecipazione alla prossima finale di Champions è sempre più concreta. Più che una stagione sportiva, appare sempre più un inno alla pazzia con noi tifosi ad assistere a questa altalena di eventi con occhi smarriti sospesi tra l’“andate via tutti” e il “Siri cercami i voli per Istanbul”. Ah, e come se non bastasse ci sarebbe un frizzante ritorno di semifinale di coppa Italia contro la Juventus che ci garantirebbe una fattibile finale romana verosimilmente contro la Fiorentina. Prosieguo: chi vi scrive non ha fatto uso di alcool prima di questo articolo, adesso ci sta pensando. La prova contro il Monza è di quelle da obbligare la squadra a non farsi la doccia dopo la partita, un considerevole spreco di acqua a fronte di zero impegno farebbe diventare ambientalista il più menefreghista al mondo sul tema. Per descrivere il nulla cosmico di sabato sera non servono parole, basterebbe ricordarsi della partita di Lisbona di 3 giorni prima: si è fatto esattamente tutto il contrario, anche peggio. Squadra mentalmente scarica, zero mordente, senza idee e con il parco attaccanti deciso a frantumare ogni record dell’assurdo tra Lukaku che non fa gol su azione dalla prima di campionato a Dzeko che non timbra il cartellino da una quindicina di partite. Cose dell’altro mondo, o sarebbe meglio dire cose turche. Il tifoso nerazzurro di oggi non può neanche prendersi il lusso del sano sfogo liberatorio, del corale “vaffa” che conclude un progetto fallito, una storia d’amore andata. Tra poche ore c’è da difendere un risultato che grazie ad una prova di andata magnifica abbiamo reso serenamente difendibile. Peccato che l’avverbio “serenamente” non sia contemplato ad Appiano Gentile e dunque, ne siamo certi, sarà un’altra serata da cuori forti. E allora giù l’ennesimo boccone amaro di campionato, stavolta servito dal Dott. Galliani. C’è da rimanere uniti, per lo meno finché la via della leggenda resterà tracciata o magari da mercoledì ben solcata verso una mitica semifinale di Champions italiana, tra fantasmi di epiche semifinali passate e Napoli tricolore. Siamo ormai ad un atto di fede tra epicità e disastro, passeggiando sulla linea sottile tra leggenda e vergogna. Epilogo: un gin tonic, grazie”.

Buona, serena, settimana a tutti.

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