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ESCLUSIVA SI, Montero: “Manchester 2003 il mio rammarico più grande”

Intervistato per la rubrica Mister Si Nasce, Paolo Montero ha parlato così, iniziando dalla data della sua nascita: "Sono nato a Montevideo in realtà il 2 e non il 3 come risulta, ma mio padre tornava da una tournée con la squadra e mia madre decise di aspettarlo per registrare la mia nascita".

Sulla sua infanzia: "Ero un bambino tranquillo, come tutti in sudamerica giocavo per strada a calcio, basket e altro. Ora purtroppo è cambiato molto e i bambini giocano meno in strada perché è molto più pericoloso, noi siamo stati dei privilegiati in quel senso li".

Su suo padre calciatore e sulla sua famiglia: "Mio padre ha giocato tanti anni, ha fatto due Mondiali, ha vinto la Libertadores, ha vinto tutto in Sud America. Io ho sempre seguito tanto il calcio. Anche adesso a casa mia si segue tanto, in tv è solo calcio, solo per la bambina c'è un'altra tv così può vedere i cartoni".

Sull'arrivo in Italia: "Ho avuto Menotti come allenatore nel Penarol che mi ha fatto conoscere i dirigenti dell'Atalanta che vennero a vedermi in Uruguay, dopo abbiamo fatto una tournée a Cagliari dove giocammo con Cagliari, Atalanta e River Plate e li decisero di comprarmi, portandomi in Italia nel 1992. All'epoca non c'era ancora il passaporto comunitario era molto difficile farsi notare, ho avuto la fortuna di trovare Lippi che poi mi ha voluto anche alla Juve. Per arrivare c'è sempre bisogno di una mano".

Sull'esperienza all'Atalanta: "Legami molto con la famiglia Ilai e quella Besana sono stati eccezzionali con noi, io arrivai solo con mia mamma, poi sono arrivati mio papà e i miei fratelli. Mio papà gli insegno a fare la grigliata e tutti i weekend mangiavamo con loro".

Sull'impatto con la  Juventus: "Quando sono arrivato a Torino mi ha sorpreso l'organizzazione che c'era nella squadra, io subito dormivo con Ciro Ferrara, loro arrivavano dalla vittoria della Champions. Il primo impatto è stato con una squadra di campioni ma umili, che ti insegnano come bisogna comportarsi a certi livelli per restarci per tanti anni".

Sui campioni con cui ha giocato: "In quel periodo lì ho giocato con tanti campioni ma ne ho anche affrontati tanti, all'epoca l'Italia era il top. Ogni domencia si affrontavano dei fuoriclasse, penso sia stato il periodo più bello del calcio italiano".

Sulle tante espulsioni: "Io ho sempre interpretato così il calcio, tanti rossi non li meritavo, altri però si. Io anche nella vita sono così, passionale, ho sempre cercato di dare il massimo in tutto quello che faccio".

Con le buone o con le cattive?: "Quello che ho detto prima, tante volte era necessario per fermare questi campioni, che ti saltavano quando volevano allora ognuno aveva la sua strategia, tante volte purtroppo bisognava ricorerre al fallo per fermarli. Non era semplice ogni domenica, menomale che con Ciro ci completavamo bene".

Sul Montero fuori dal campo: "Fuori si, sono tranquillo, tante volte andavamo a Milano, ci trovavamo con tutti, nei locali, nei ristoranti. L'essere avversari inzia al 1' e finisce al 90' dopo tutto finito. C'erano dei codici che non si devono perdere".

Sui trofei vinti con la Juve: "Nessun trofeo mi è rimasto nel cuore più di un altro, il rammarico più grande sono le finali di Champions perse, sono stato comunque un privilegiato e continuo a esserlo".

Sulla settimana pre e post Manchester nel 2003: "Prima la vivevo normale, ma dopo che ho saputo che il mister voleva farmi giocare terzino gli dissi di no. Birindelli secondo me aveva marcato alla grande Figo in semifinale e io gli dissi con sincerità che avrebbe dovuto far giocare lui, ma il mister ha insistito e io ho giocato, ma i primi 20 minuti su Shevchenko feci malissimo. Dopo la finale sono rimasto a Torino, dopo il rigore sbagliato e penso che sia stata una settimana, soprattutto i primi due-tre giorni della vergogna. Quando perdo io non vado neanche al supermercato, mi vergogno, sono stati 2-3 giorni bruttissimi".

Sul compagno con cui ha più legato: "Io e Mark Iuliano eravamo gli scapoli, giravamo sempre insieme, abbiamo fatto quasi tutta la carriera insieme, con lui ci mancava solo di dormire insieme. Passavo quasi tutto il giorno a casa sua".

Sul ruolo del difensore: "Oggi per giocare centrale se non pensi come un mediano non riesci, oggi il difensore deve anticipare, e deve giocare propositivo, in avanti, come si dice spaccare le linee, se non giochi così oggi fai fatica a grandi livelli".

Sulla decisione di fare l'allenatore: "Ho inziato a viaggiare per fare il procuratore, ma non mi è mai piaciuto, un giorno ho deciso di cambiare e mi sono iscritto in Uruguay al corso, ho iniziato lì poi dopo che mi sono trasferito in Italia mi sono iscritto al corso di Coverciano e adesso mi trovo qua. Ho lasciato il mio paese 17 anni fa e sono sempre venuto a Torino perché la città mi fa impazzire".

Su cosa gli piace dell'Italia: "Siamo uguali, la gente di Torino mi ricorda tanto Montevideo perché ti lascia tranquillo, puoi girare senza disturbo, ovvio non sono Del Piero o Zidane, magari Ale non può camminare per Via Roma. Io mi fermo al Bar, mangio fuori, e amo Torino, amo la città".

Su Del Piero e Zidane: "Sono stati, soprattutto come dico ai miei figli, più grandi come uomini che come calciatori, loro come Peruzzi sono un esempio, mi hanno insegnato l'umiltà, si meritano tutto quello che hanno ottenuto".

Sull'esperienza da allenatore in C alla Sambenedettese: "Mentre stavo facendo il corso a Coverciano potevo allenare solo in C, mi ha chiamato il direttore Fusco se volevo andare a San Benedetto, io all'Atalanta avevo giocato con Vecchiola, e lui mi aveva sempre parlato bene dell'ambiente.Purtroppo dopo un mese che la mia famiglia mi aveva raggiunto è arrivata la pandemia, e allora loro sono tornati in Uruguay. E' stata una bella esperienza, che mi ha fatto maturare. Poi ho finito il corso. Alla Sambenedettese sono stato benissimo".

Su Pessotto: "Io con Pessotto mi sono sempre sentito, con lui abbiamo un rapporto di fratellanza, immagino che abbia messo una buona parola per la scelta della Juventus di puntare su di me".

Sulla Juve U19: "Il campionato è molto simile alla C, molto competitivo, ci sono allenatori molto preparati, io continuo a fare esperienza, sono contento di essere tornato alla Juve. Il mio lavoro è di far crescere i ragazzi per la Next Gen e per la prima squadra. Ci sono dei giocatori con dei valori importanti, qualcuno infatti già è in C". 

Sulla sua filosofia di calcio: "La mia esperienza da calciatore aiuta, soprattutto nel rapporto con i giocatori, io credo tanto nel rapporto, nella chimica. Aver giocato mi permette di spiegare meglio certe dinamiche, durante le partite. Agli attaccanti magari non so spiegare che movimento devono fare non essendo stato punta, ma posso fargli capire che difficoltà può avere il difensore. Per me è importante che siano i giocatori a scegliere cosa fare in campo, sono loro che si devono esprimersi, io cerca di lavorare per loro, noi siamo qua per la Juventus e soprattutto per i giocatori". 

Sul senso d'appartenenza: "Io ce l'ho ed è quello che bisogna trasmettere, è fondamentale. Io allo staff dico che a Vinovo sono felicissimo, mi sento un privilegiato ad essere alla Juventus. Ogni giorno sono grato di essere qua".

Su i suoi giocatori fortunati ad averlo: "Non lo so, pensa che la maggior parte ha l'età dei miei figli, non mi hanno mai visto giocare". 

Sulla stagione: "E' stato fin ora un anno buono, escluse le ultime due gare, il derby e la Sampdoria. Siamo in linea con gli obiettivi, alcuni hanno già fatto il salto in Under23, e altri sono vicini".

Sui tifosi del Toro: "Con loro non ho mai avuto problemi, sono amico con Steve e Tati, ex capi ultrà del Toro, sono il padrino del figlio di Steve. Con loro ho sempre avuto un ottimo rapporto, io non voglio che i tifosi della Juve mi vogliano bene perché parlo male della tifoseria o della squadra del Toro. A me loro non hanno mai fatto niente. Ovvio che quando giocavo il derby volevo vincere, prima come ora da allenatore. Io voglio che mi vogliano bene perché sono un buon giocatore, un buon allenatore".

Su Tacchinardi: "E' un grande, io l'ho conosciuto a Bergamo che era un bambino, l'anno dopo l'ha comprato la Juve. Lui era fortissimo. In quel periodo li i tuoi compagni diventano la tua famiglia. Il gruppo diventa sacro". 

Su un ricordo particolare di quegli anni: "A livello di gruppo? Una volta ogni 15 giorni andavamo a mangiare insieme, tutti arrivavamo due ore prima per stare tra di noi. Quando andavo via dall'allenamento non vedevo l'ora fosse il giorno dopo per rivedere i miei compagni". 

Mister si nasce o si diventa?: "Per me allenatore si può diventare, calciatore si nasce. Allenatore si può diventare, poi non saremo tutti Lippi, Guardiola, Klopp, Ancelotti, però si può diventare".

Sul modulo: "Noi giochiamo 4-4-2, noi in fase offensiva cerchiamo di portare gli esterni sulla linea degli attaccanti. Tante squadre ci aspettano, per questo noi cerchiamo sempre di fare 1 vs 1 e creare superiorità". 

Su Mancini e Yildiz: "Il loro futuro è nelle loro mani, dipenderà solo da loro"

Redazione

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