Cristiano Giuntoli ha stravinto. No, non c’entra il Napoli in testa alla classifica: quello è un dominio incredibile, straordinario, basterebbe guardare i numeri e restare ammutoliti. La scorsa estate c’erano lacrime e fazzoletti: il Napoli aveva ceduto tutti i big, erano stati organizzati i funerali, sembrava un lamento continuo e l’anticamera di un disastro. Era metà luglio quando ci permettemmo di dire in diretta che sarebbe stato il caso di aspettare la fine della sessione estiva per tirare le somme. Non ci insultarono, ma quasi. Già, perché cominciarono a snocciolare quei cognomi aggiungendo un punto di domanda che era una sentenza o una condanna: Kvaratskhelia chi? Kim chi? Neanche li conoscevano, neanche li avevano visti giocare per venti minuti di fila, neanche sapevano che faccia avessero e già sputavano veleno. Adesso sono sul carro, posti in piedi, almeno una quindicina di pullman esauriti con i peana e i complimenti del “poi”. Ma Giuntoli ha stravinto per un altro morivo: mentre gli altri stanno cercando di capire come fare con i rinnovi e come organizzarsi per la prossima primavera-estate (come se fosse un catalogo Postal Market), lui viaggia con almeno dieci mesi di anticipo. Ha chiuso i rinnovi che gli interessavano, sta seguendo un parametro zero come Adama Traoré, ha individuato in Vicario il possibile portiere del futuro in caso di addio a Meret. Continuiamo? Se decidesse di mettere sul mercato Osimhen non basterebbero 100 milioni, viaggeremmo da 120 in su più bonus e magari qualcuno glieli porterebbe. Se intendesse ascoltare una proposta per Kvaratskhelia, gli fischierebbero le orecchie con spifferi da 100 milioni a salire. Immaginate De Laurentiis con uno scudetto in tasca: si divertirebbe a fare il suo gioco e a scatenare l’asta fino a vette impensabili. Giuntoli oggi è come Fausto Coppi e il resto del gruppo: quando il Campionissimo stravinceva, aveva il tempo di bere qualche thé caldo, di farsi due docce e poi si affacciava alla finestra dell’albergo per capire se qualcuno tra i suoi colleghi – stracciati senza pietà – fosse arrivato. Il resto del gruppo, appunto. E poco importa se qualcuno, qualche anno fa, avesse chiesto la testa di Giuntoli soltanto perché aveva portato a Napoli sia Lobotka che Rrahmani, entrambi ritenuti autentici “bidoni”. A quel qualcuno, anche lui ora sul pullman, hanno chiesto di presentare le scuse perché aveva preso un clamoroso abbaglio. Ma lui ha respinto, ha ignorato, ha traccheggiato e ha già imbarcato acqua fino al collo.
Quella di Paolo Maldini è un’altra storia. Ora si può anche bucare una sessione estiva, i frutti magari arriveranno più avanti ma non siamo così imbecilli da pensare che sia stato un successo. Anzi, è stato un disastro. Ma Maldini è la storia del Milan, il passato il presente e (speriamo per lui) il futuro, quindi bisognerebbe dargli una mano e non pensare che, siccome hai già garantito un minimo budget tra luglio e agosto, a gennaio la sentenza sia “zero euro”. Non è giusto e non è rispettoso verso un dirigente che dovrebbe avere sempre una minima libertà di manovra. Maldini e Massara ci hanno messo la faccia per Zaniolo, lo avevano convinto in cinque minuti. E a scegliere il Milan senza se e senza ma, non vedeva l’ora. Non ci si può incartare soltanto perché non esiste una disponibilità a garantire 25 o 30 milioni per il riscatto alla Roma. Sarebbe bastato avvertire prima Maldini, dirgli di non provarci neanche, piuttosto che sentenziare con un “tanto, ci rivedremo la prossima estate”. Non è una roba da Milan. Maldini può aver sbagliato, sicuramente ha sbagliato, ma ha portato uno scudetto a casa che mancava da una vita. E sbattergli la porta in faccia così, a casa sua, è una cosa che meriterà – a prescindere – dieci minuti di riflessione.
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