Si sono menati per la strada, non so se avete visto. Erano dalle parti di Arezzo. Li hanno chiamati tifosi, poi ultras, ma banalmente erano dei disperati. E delinquenti. E qualcuno dirà “Uh, che esagerato”, ma come si possono definire dei tizi che scelgono di passare la loro domenica in mezzo all’asfalto della A1 a prendersi a cinghiate? Boh, ditemelo voi. C’è chi dice “Gli diano dieci anni di Daspo!” ma, francamente, qui siamo oltre, abbiamo a che fare con minchioni che hanno rovinato la domenica del signor Mario e della signora Maria, costretti a un bel punto a deviare il loro percorso e a ritardare il pranzo con la lasagna. Questa gente non la correggi col Daspo – che, anzi, il più delle volte è visto come una medaglia – ma dandoci dentro con quella cosa chiamata “legge”. Ecco, speriamo che i “faremo, interverremo, non lasceremo impuniti” detti a raffica da chi comanda, per una volta, non restino i classici “futuri semplici” destinati al nulla.
E ora il campo. Più o meno, che qui tocca parlare di Inter e della “saccata”, crasi tra “Sacchi” e “boiata”.
I piani di ragionamento sulle questioni nerazzurre sono ben due. Eccoli. Il primo riguarda il campo: la squadra di Inzaghi incassa troppi gol, si distrae stupidamente quando la partita è meno “celebrata”, attende con ansia che Lukaku esca dal ginepraio di guai fisici in cui si è ficcato e, soprattutto, paga in maniera evidente la voragine di punti di distacco accumulata a inizio stagione che non le permette di fare calcoli (o vinci sempre o sei fottuto). Ecco, sì, la squadra di Inzaghi è tutto tranne che una macchina perfetta.
Poi c’è l’altro lato del medaglione. L’errore dell’arbitro Juan Luca Sacchi di Macerata è grave, gravissimo e modifica di molto i giudizi su Inzaghi e i suoi. Parliamoci chiaro, se l’arbitro non avesse preso la micidiale topica oggi parleremmo di un’Inter cazzuta che, sì, prende troppi gol, ma alla fine la sfanga e che bravi i ragazzi di Inzaghi, tornati nel 2023 con intenzioni serissime! E invece no, Sacchi l’ha fatta grossa e si iscrive al club dei Serra (Milan-Spezia) e dei Marcenaro (Juve-Salernitana), ovvero dei fischietti che con errori da matita blu sbilanciano opinioni e, soprattutto, classifiche.
Vanno massacrati e umiliati sulla pubblica piazza? Certo che no, ma è giusto che a monte, in qualche modo, si scelga di dare più credito alla tecnologia e meno libertà di sbagliare ai fischiettanti.
Anche il Milan si è fermato e, va detto, in maniera piuttosto incredibile: proprio la facilità con cui i rossoneri stavano gestendo la partita con la Roma è risultata fatale nei minuti finali. Una sorta di paradossale calo di tensione derivato da una sfida che fino a quel punto aveva dato zero problemi ai campioni d’Italia. E allora ecco i fatali cambi degli ultimi minuti, sommati a una scelta davvero azzardata (opinione personalissima), quella di marcare “a zona” sui calci da fermo sempre e comunque. Lo fanno in tanti, non si capisce perché. Contro la Roma, poi, che ha diversi difetti ma in quelle occasioni sa spesso colpire.
È finito il mondo? Giammai, ma certo il Milan ha lasciato sul campo due punti che aveva meritatamente messo in tasca.
Due balle su Allegri. C’è chi parla di sontuoso culone, quello che accompagna Max nella sua rincorsa al primo posto. Ma qui stiamo parlando di otto vittorie di fila e zero gol subiti. E, soprattutto, stiamo parlando di un allenatore che – piaccia o non piaccia – è riuscito a trasmettere la sua idea di calcio al suo gruppo di lavoro. Oh, è quello che si chiede a qualunque tecnico. Il gioco non aggrada ai cantori dell’estetica? È probabile che Max se ne faccia una ragione.
Ora arriva la succulenta sfida al Napoli, quella di venerdì. Ci diranno “non è decisiva” e forse è vero, ma neanche troppo. I freschissimi e meritevoli campioni d’inverno allenati da Spalletti hanno tra le mani un primo “mini match-point”: se per caso dovessero riuscire ad abbattere la diga bianconera, beh, parlare di scudetto diventerebbe più che lecito (non che non lo sia già).
In chiusura torniamo laddove è giusto tornare, ovvero alla scomparsa del mito Vialli. Sì, ok, è stato il simbolo di una grande Juve, ma anche il bomber di tutti. E sembrano parole al vento, ma anche no. È stato enorme in campo, gigantesco fuori, soprattutto negli anni della malattia. Porca miseria, è stato un esempio gigantesco di come si possa vivere, e bene, anche in una condizione maledetta. È stato collante e anima del gruppo azzurro nel mese della cavalcata europea. E se pensate “beh, mica ha segnato dei gol”, vi sbagliate di grosso. Quello che ha detto, come lo ha detto, quello che ha fatto, come lo ha fatto, sono stati determinanti. E resteranno per sempre. Che poi è l’unica cosa che conta.
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