Per Gianni Brera dopo poco tempo era già diventato “Stradivialli”, per l’eleganza, per la sinuosa armonia dei suoi movimenti in campo. Per le sue origini, la Cremona degli anni ’60, che trecento anni prima aveva dato i natali al celebre liutaio Antonio Stradivari. Un soprannome azzeccato, che ha riflesso con arguzia la natura e la storia di Gianluca Vialli.
Giocatore talentuoso impreziosito da una tecnica brillante, che esondava in acrobazie circensi in area di rigore e gol da copertina. Da esterno a centravanti, da rapido rifinitore a rapace finalizzatore per completare un repertorio ampio e ben attrezzato, sin dalle origini. Cremona, appunto, con Mondonico che lo espone in vetrina a 17 anni appena. 31 presenze e 5 gol nella prima stagione in B dopo la promozione. Poi 8, poi 10 nell’84. L’anno della chiamata della Sampdoria, l’anno della Serie A da protagonista a 20 anni. L’anno in cui si apre il primo grande capitolo di una storia che da promettente bozza comincia ad assumere contorni reali.
Sono 8 gli anni in blucerchiato. La gloria in patria, il sogno sfiorato in Europa con quella finale di Wembley contro il Barcellona che rimanderà solo la gioia per Luca Vialli. Perché dopo non aver ceduto per anni alle avances, passa alla Juve. Le primavere sono 28, come i gol in Serie A tra 1994 e 1996 con i bianconeri. Le sue migliori stagioni sotto la Mole, culminate con la Champions League conquistata a Roma contro l’Ajax.
La parentesi al Chelsea nella doppia veste di player-manager e l’addio al calcio nel ’99. Solo giocato però, perché non riuscirà più a farne a meno, in un modo o nell’altro. Il picco della sua avventura fuori dal campo è a Euro 2020, racchiusa tutta in quell’abbraccio con Mancini proprio a Wembley, ironia della sorte. Lì dove il sogno, 30 anni fa, era rimasto tale. Lì dove il sogno, con una forma diversa, è diventato realtà.