El más grande. Più di chiunque altro. Il Mondiale dell’Argentina, il Mondiale soprattutto di Leo Messi. Il quinto disputato, il primo vinto, da autentico protagonista. Dopo 4 edizioni in cui è stato comparsa prima, condottiero sbiadito dopo. Rappresentazione fisica della delusione di un Paese, emblema e simbolo di un’Argentina ormai addestrata alla sconfitta. La sua avventura era nata dal caos. Un esordio durato solo 1 minuto con l’Ungheria. Ingresso in campo ed espulsione a 18 anni appena compiuti. L’incipit poco promettente della sua esperienza con l’Albiceleste. Tortuosa, irregolare, malinconica.
Critiche taglienti e spesso violente, perché il fatto di essere il più grande o tra i più grandi avrebbe dovuto comportare un ruolo da trascinatore, da dominatore sempre e comunque. La finale persa con la Germania, il flop in Russia e lo scenario di vederlo chiudere ancora una volta come il volto della sconfitta. Triste Y solitario Y final, per citare Osvaldo Soriano. Ma come il debutto, anche la chiusura del cerchio nasce dal caos, sorprendendo l’ordine naturale delle cose. La sconfitta con l’Arabia Saudita sembrava segnare l’ennesima amarezza. Poi è cambiato tutto, con Messi questa volta sì condottiero vincente.
Maggior numero di minuti giocati nella storia dei Mondiali, maggior numero di presenze superando Lothar Matthäus. 7 gol, 2 in finale. Tutto ciò che non gli è riuscito dal 2006 gli è riuscito nel 2022. Calpestando pronostici, frantumando ogni previsione che lo vedeva ancorato a un destino già deciso. Il Mondiale dell’Argentina, il terzo, il Mondiale di Messi. Che conferma ciò che in molti hanno sempre fatto fatica ad ammettere e che oggi, forse, mette d’accordo tutti. El más Grande. Leo Messi.