Ogni volta che gli chiedevano di suonare per qualche evento sportivo rispondeva “…ma io detesto lo sport”, muore a 87 anni Jerry Lee Lewis
Anni di dipendenza da alcol, droghe e psicofarmaci. Una vera ossessione quasi autodistruttiva per le armi e la difesa personale. Una ventina di incidenti stradali, spesso quando saliva in auto fatto o bevuto.
Jerry Lee Lewis è scomparso a 87 anni. E ci sono dubbi se ad accoglierlo siano San Pietro o Belzebù in persona. Vista la sua attitudine e la sua scarsa propensione a perdono vita secondo principi morali. D’altronde lui lo diceva sempre: “Il diavolo è affascinante, i santi non mi attraggono per niente…”
Soprannominato “il Killer” proprio per questa sua propensione alle armi, che portava in tasca fin da ragazzino, Jerry Lee Lewis nei primi anni ’50 è stato l’uomo che ha ridefinito il concetto stesso di rock and roll portandolo a un livello più ampio e globale. Non ancheggiando dietro una chitarra come il suo amico-rivale Elvis Presley. Ma alle spalle di un pianoforte a coda che maltrattava fino a danneggiarlo irreparabilmente: dandogli fuoco alla fine del concerto.
Gli aneddoti che lo riguardano sono innumerevoli. Figlio di predicatori, ossessionato dalla morale cristiana, fece di tutto per scegliere la strada più buia e pericolosa. Durante il suo primo tour, proprio con Presley, cominciò a familiarizzare con psicofarmaci e alcol. Poi le droghe: quelle pesanti.
Quando arrivò in Europa presentandosi con la moglie Myra, una cugina di soli 13 anni figlia di un altro predicatore amico dei genitori, scoppiò uno scandalo. Dal quale la sua carriera non si riprese più.
Carriera che ha vissuto sul mito dei suoi eccessi, della sua aggressività sul palco e delle sue fobie. Nato nel profondo sud, viveva a poca distanza da Memphis. Una notte completamente ubriaco si schiantò contro i cancelli di Graceland, la dimora mausoleo di Elvis Presley, armato di una pistola. Elvis era ancora vivo: ma non uscì di casa e chiamò la polizia. Fu uno dei suoi tanti arresti.
Quattro figli. Sette mogli. Due delle quali, dicono i giornali, morirono in circostanze mai completamente chiarite. Forse un altro modo di alimentare un mito eccessivo. L’ultima Judith ha dato l’annuncio della sua morte: “Serenamente e tra i suoi cari”.
Caduto in disgrazia varie volte e rialzatosi sempre sull’onda del suo ‘shakin’ e di “Great Balls Of Fire” il suo più grande successo, fu tra i primi indotti nella rock ‘n’ roll Hall of Fame. É sopravvissuto a tutti quelli della sua generazione: Elvis Presley, Johnny Cash, Carl Perkins, Chuck Berry e Little Richard.
Con lo sport ha avuto un rapporto conflittuale: lo sport lo amava, le sue canzoni campeggiano su tutti i campi americani e non. “Great Balls of Fire” risuona prima di uno start in qualsiasi pista americana dove rombino dei motori.
Lui non ricambiava: “Mai fatto sport, si suda e rischio di farmi male alle mani… Ma sono campione mondiale di abusi. Ho provato tutte le droghe possibili e immaginabili”.
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