Una vicenda drammatica che coinvolge una campionessa e diventa un caso umanitario e aumenta le tensioni tra Stati Uniti e Russia nel pieno di un drammatico confronto internazionale
Torna d’attualità il caso della superstar del basket statunitense Brittney Griner arrestata il 17 febbraio scorso a Mosca.
L’accusa è grave: detenzione e traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Nel bagaglio della Griner, che tornava in Russia dove ha giocato per diverso tempo come professionista nel campionato femminile, le forze dell’ordine russe hanno trovato olio di cannabis tra le ricariche delle sue sigarette elettroniche. Una violazione del codice penale russo che le è costato una condanna a nove anni di carcere.
La vicenda rientra però in un quadro molto più complesso che riguarda i rapporti diplomatici internazionali tra Mosca e Washington, tesissimi dopo l’invasione russa del confine ucraino avvenuta pochi giorni dopo l’arresto della Griner. Tanto da far pensare che l’arresto della cestista, estremamente popolare sia in Russia che negli USA, una forma di ritorsione.
Respinte le richieste degli Stati Uniti di liberare la giocatrice sulla base di uno scambio con un trafficante d’armi russo, detenuto in un carcere federale americano e condannato a 25 anni di carcere.
La Griner non potrà presenziare al suo appello che inizia oggi. Sarà collegata da una cella della struttura detentiva che la ospita da febbraio. É dimagrita molto, sofferente. Inutili i suoi appelli: “Ho commesso una ingenuità per la quale ho ammesso le mie responsabilità. Ma non c’era alcuna volontà di infrangere la legge russa, che non conosco. So di essere una pedina su una grande scacchiera. Mi auguro mi trattino con la dignità che merito. Ma non credo nei miracoli…”
Questo il pensiero che la Griner ha espresso ai suoi avvocati e a un funzionario consolare americano che è riuscito a parlarle ieri per pochi minuti.
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