Ancora un lutto in NBA per la morte di quello che può essere considerato il cestista più vincente nella storia del professionismo americano
Di fronte a personaggi come Bill Russel si può solo aprire il libro dei ricordi e provare a mettere in ordine nelle tante cose che ha fatto, detto e lasciato in eredità.
Personaggio indiscutibile in campo, e fuori dal campo, passa alla storia come il cestista più vincente di sempre in NBA con 11 titoli in tredici anni: un simbolo. Aveva 88 anni.
Ma Russell, in un mondo sportivo americano che ancora faticava ad accettare l’uguaglianza di diritti di atleti bianchi e di colore, è stato molto di più. Una leggenda dei Boston Celtics, in una città che – per la verità – lo ha sempre trattato come un figlio abbattendo molte distanze sociali eclatanti anche grazie al suo esempio.
Bill Russell, come Muhammad Ali, è stato uno dei primi sportivi professionistici a prendersi sulle spalle la responsabilità di essere simbolo dei diritti civili. Ha marciato con Martin Luther King: e durante il periodo delle Pantere Nere, quando la rivendicazione assunse toni aspri, rappresentò la voce della tolleranza. Un uomo integro, di grandissima dignità: irremovibile. Il grande Wilt Chamberlain lo ha definito il più grande campione di sempre in NBA. Anche perché i suoi due titoli scomparivano di fronte agli undici vinti dal suo avversario.
Hall of Famer, cinque volte MVP stagionale, 12 volte All-Star in tredici anni. Russell nel 1980 è stato votato come il più grande giocatore nella storia della NBA dagli autori della Hall of Fame. Nato in Louisiana, nel profondo sud statunitense, marciò a Washington nel 1963 quando Martin Luther King pronunciò il suo famoso discorso “I Have a Dream”. Appoggiò Muhammad Ali quando il pugile fu messo alla gogna per aver rifiutato l’ingresso nella leva militare.
Nel 2011, il presidente Barack Obama ha conferito a Russell la medaglia della libertà, una delle più alte onorificenze statunitensi. “Bill – disse a Russel durante la cerimonia – sei l’uomo che ha difeso i diritti e la dignità di tutti gli uomini. Hai marciato da pari al fianco dei re come di Ali”.
Intransigente. Quando un ristorante si rifiutò di servire i Black Celtics (così erano definiti i giocatori di colore di Boston in un’epoca in cui la segregazione era ancora un dato di fatto), si rifiutò di giocare. Obama sottolineò che quella fu “la sua più grande partita”: “Ha sopportato insulti e vandalismi, ma ha continuato a concentrarsi sul rendere i compagni di squadra che amava giocatori migliori e ha reso possibile il successo di tanti che lo avrebbero seguito” concluse l’allora presidente americano.
Toccanti le parole di Michael Jordan che ha descritto Russell come “un pioniere: come giocatore, come campione, come primo allenatore nero della NBA e come attivista”.
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