Alla vigilia dell’inizio dei Mondiali di atletica leggera la confessione di un fuoriclasse commuove gli appassionati… venduto e allontanato dalla sua famiglia d’origine illegalmente
Per il mondo è Mohammed Farah. Per il Regno Unito è un simbolo, uno degli atleti più forti di tutti i tempi. Ma solo oggi, nel corso di una lunga e toccante intervista rilasciata alla BBC, Mo Farah ha raccontato di un’infanzia drammatica.
“Il mio vero nome è Hussein Abdi Kahin. Mohammed Farah è il nome che ho assunto quando sono arrivato in Inghilterra, era il nome di un altro bambino, non so chi fosse” ha raccontato il quattro volte campione olimpico alla BBC.
Cresciuto in un sobborgo di Somaliland, una delle città più povere della Somalia, Farah è arrivato in Inghilterra illegalmente, forse venduto a un’altra famiglia che sta trasferendosi nel Regno Unito. Una versione completamente diversa rispetto a quella ufficiale che raccontava del suo arrivo insieme ai genitori come rifugiato.
“So che la mia vera storia sorprenderà molti, per quello che ho sempre detto e che la gente conosce. Ho ricordi sbiaditi della mia vita in Somalia. Ricordo una donna che mi disse che mi avrebbero portato in Europa ma quando sono arrivato qui mi hanno tolto i recapiti dei miei parenti. E mi hanno cambiato nome”.
Un’infanzia brutale trascorsa tra lunghi silenzi e paure: “Non mi azzardavo a parlare, spesso mi chiudevo a piangere in un angolo della casa, al buio, dove nessuno potesse vedermi. Lavoravo per pochi spiccioli come domestico. Facevo le pulizie, servivo a tavola. Mi dicevano di stare attento, che il futuro della mia vera famiglia dipendeva da me. Che dovevo stare zitto”.
Il riscatto attraverso una pista di atletica. A rendersi conto del suo immenso talento il suo primo insegnante di educazione fisica, Alan Watkinson, a scuola. Fu lui a portarlo per la prima volta in pista.
Cittadino britannico dal 2000 Mo Farah ha detto di voler conservare il nome con il quale il Regno Unito lo ha accolto: “Ringrazio il bambino che mi ha consentito di vivere qui con questo nome. Non so chi sia. Ma qui ho scoperto che la mia storia non è così isolata, che ci sono altre persone che hanno subito quello che ho subito io. Ringrazio questo grande paese per avermi reso quello che sono. Correre mi ha salvato la vita, spero che altre persone che vivono il mio dramma, altrove nel mondo, trovino qualcosa cui aggrapparsi che salvi la loro”.
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