Serie A, una storia strappalacrime: l’ex campione vive come un senzatetto. Il mondo del calcio regala di tanto in tanto struggenti vicende dal grande impatto emotivo
Il primo fu Carlo Petrini. L’ex centravanti di Milan e Roma, protagonista di primo piano per un decennio abbondante, tutti gli anni 70′, fu travolto da una serie ravvicinata di sventure e disgrazie tali da costringerlo a vivere in assoluta povertà. Petrini, ad un certo punto, scelse di raccontare la sua storia in un libro, ‘Nel fango del dio pallone‘, diventato nel corso degli anni un vero e proprio best seller. L’ex attaccante di Monticiano è scomparso dieci anni fa, ma le sue clamorose rivelazioni su scandali e vergogne del mondo del pallone fanno ancora discutere.
Ma Petrini non è l’unico ad essere finito nel dimenticatoio. In Sicilia c’è un ex calciatore dal cognome altisonante che rischia di finire allo stesso modo. Stiamo parlando di Maurizio Schillaci, cugino del più celebre e popolare Salvatore. Nato a Palermo 60 anni fa, anche lui attaccante, si diceva che fosse anche più forte del Totò nazionale che fu grande protagonista ai Mondiali del 1990. Cresciuto nel Licata e impostosi a suon di gol sotto la guida di Zdenek Zeman, nell’estate del 1986 fu acquistato dalla Lazio di Calleri e Fascetti.
Sembrava il trampolino di lancio verso una carriera esaltante, fu l’inizio della caduta verso l’inferno. “I medici sociali mi hanno rovinato. Secondo loro ero un malato immaginario, un siciliano senza carattere. Questo, dopo tanti anni, ancora non mi va giù. Dicevano che non avevo voglia di giocare, la realtà è che avevo lo scafoide del piede destro lesionato e in necrosi. Per un anno – prosegue Maurizio Schillaci in un’intervista al Corriere della Sera – ho continuato a dire che stavo male, ma nessuno mi credeva“.
“Finché giochi tutti ti amano, ma quando smetti ti ritrovi da solo. È il vuoto“. E questo è puntualmente accaduto: Maurizio infatti ha perso contatti con tutti, comprese le sue due figlie e il celebre cugino Totò Schillaci. Il dolore e la solitudine lo hanno spinto sempre più giu, fino a toccare il baratro della povertà e della miseria. Adesso vive in strada, da solo con il suo cane. E il calcio si è dimenticato completamente di lui.
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