Matteo Berrettini, rivelazione incredibile: “Pensavo che fossero matti”. Il tennista romano tra bilanci e aneddoti ripercorre la stagione
Momentaneamente fermo ai box dopo l’infortunio che ha subito a Torino, Matteo Berrettini ripensa alla stagione appena mandata in archivio e si esalta. Ricordi bellissimi, come il ritorno alle Nitto ATP Finals ma soprattutto la finale di Wimbledon. Ma acnhe particolari inediti che ha raccontato al podcast ‘Cachemire’, condotto da Edoardo Ferrario e Luca Ravenna.
Wimbledon è un sogno per tutti, figuriamoci per un italiano non proprio nato sull’erba. Ma quella finale contro Novak Djokovic è stata un sogno anche per lui che pure ha lavorato tutta una vita per arrivarci. Nell’intervista Berrettini ha confessato che dalla prima volta, torneo Juniores 2014, ha sempre sognato un momento così e poi è successo veramente.
“In finale sono arrivato con tanta fiducia perché ho vinto il torneo prima al Queen’s. In conferenza stampa mi dicevano che i bookmakers mi davano per finalista, e io pensavo che fossero matti. Però poi parlando anche con il mio allenatore mi sono reso conto che stavo giocando veramente bene”.
Al torneo londinese è anche legata la sua prima volta contro Federer, con cui aveva già palleggiato in allenamento agli Internazionali d’Italia a Roma nel 2015. “Vinsi cinque game in totale, mi sudavano le mani ma ero proprio felice di poter vivere quell’esperienza. Ho fatto ridere per come ho giocato, ma quella partita mi è servita molto perché dopo contro i grandi avversari ero più pronto”
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Matteo Berrettini ha ammesso che quado giocava da bambino non pensava di diventare più forte di tutti, ma solo di battere l’avversario che si trovava di fronte. Poi è arrivato nel Tour maggiore e tanti giocatori gli sembravano più forti, irraggiungibili. Nel 2019 però, il salto di qualità che gli ha fatto capire di poter arrivare a qualcosa di importante. “Dopo lo US Open di quell’anno, dove sono stato massacrato da Nadal in semifinale, mi sono detto che ero comunque tra i quattro migliori tennisti del mondo in quelle due settimane”.
La convinzione resta uno degli aspetti più importanti e per questo collabora con un mental coach da quando aveva 17 anni. “Mi serve per gestire determinati momenti di tensione, ma quello che dico sempre è che bisogna cercare di conoscersi. Perché quando ti succede una cosa per la prima volta sei invaso da tutte le emozioni, poi la seconda volta dici ‘ah ma questo è già successo, proviamo a fare questo’. Non è che succede sempre, però è già qualcosa”.
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