Marco Rossi, il tecnico dell’Ungheria rivelazione di Euro 2020 che ha spaventato a morte la Germania è l’uomo del momento, un giocatore da ricordare
Massiccio, imponente, una falcata da atleta vero e una potenza muscolare impressionante. Marco Rossi è stato un terzino sinistro che non ha avuto tutta la fortuna che avrebbe meritato a causa di qualche problema fisico.
Generosità non comune Marco Rossi, 56 anni, torinese di Druento, ha avuto una carriera calcistica lunga e sfaccettata che ha avuto il suo apice dopo sei lunghe stagioni a Brescia. Viene chiamato dalla Sampdoria: la squadra blucerchiata è passata da Boskov a Eriksson e ha un clamoroso buco a sinistra dove i tentativi di trovare un fluidificante efficace e potente sono sempre falliti.
Rossi conquista tutti con la sua generosità: un uomo buon ed educato che contrasta con l’aspetto da Terminator, testa pelata e muscoli in evidenza. I tifosi blucerchiati lo soprannominano affettuosamente Meccano, perché il suo modo di correre era magari poco elastico ed elegante. Ma potentissimo: per fermarlo ci volevano le cannonate.
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In blucerchiato Marco Rossi soffre due gravi infortuni: gioca solo 25 partite in una squadra meravigliosa che vince la Coppa Italia nel 1994 arrivando terza in campionato alle spalle di Milan e Juventus. É la squadra del CT italiano Mancini, ma anche di Lombardo, Gullit, Platt… Marco Rossi non è molto fortunato e raccoglie molto meno di quello che meriterebbe, oltre a un unico gol, nel 3-0 con la Roma.
Rossi a scadenza di contratto gira il Mondo: prima l’America di Città del Messico, poi l’Eintracht Francoforte: chiude la carriera in Italia nel Salò. In tutto diciotto anni di onorata professione con oltre 400 partite e 27 gol dieci dei quali solo nelle sue cinque stagioni al Brescia. Poi iniza la sua carriera da allenatore: Lumezzane e Pro Patria, poi Spezia, Scafatese e Cavese. E anche qui la voglia di girare il mondo prevale.
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Marco Rossi sceglie l’Ungheria, o forse sarebbe meglio dire che è l’Ungheria a scegliere lui. Due stagioni con l’Honved poi la nazionale dopo una breve esperienza in Slovacchia con il DAC di Breda. In Ungheria lo chiamano “il Mister”, proprio come si fa in Italia. Lui parla un buon ungherese, adora il gulasch, non disdegna la birra magiara, più speziata di quella austriaca e bavarese e diventa suo malgrado un personaggio.
É ottimista, educato ma fermo, estremamente convinto del suo stile di gioco. Che riporta molto a Eriksson: un calcio dove il pallone si gioca e non si butta mai via e dove tutto è ordinato e metodico. Ma dove la fantasia prevale sulla tattica pura. Suo fratello fa il commercialista, ha uno studio avviato: lui a un certo punto ha avuto due alternative. Tornare a Torino a fare il ragioniere o girare il mondo e provare a fare l’allenatore.
Meglio la seconda. Ora abbiamo una bella storia da raccontare.
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